Real Stories
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Ogni stroncatura non è che un atto di amore tradito
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FEMMINE CONTRO MASCHI

La Littizzetto approfitta dell\’amnesia del marito benzinaio Solfrizzi per resettarne i vizi (donne e juve) e impiantargli virtù in cucina, a letto e nel pentagramma. Ficarra & Picone si vestono e suonano da Beatles di noialtri all\’insaputa delle compagne Francesca Inaudi e Serena Autieri (incinta). Mollato, l\’uno invade casa dell\’altro. Per far morire felice mamma Wilma De Angelis, il chirurgo plastico Bisio finge per un mese di vivere con l\’ex moglie Nancy Brilli. Il figlioletto incontra il primo amore elementare e chiede consiglio al bidello siciliano, così Ficarraecc. possono replicare (non male) la gag di Totò che scrivel a lettera astrusa. Dopo aver aperto l\’orrido “Maschi contro femmine” con una citazione di Troisi (), stavolta Fausto Brizzi abusa di Darwin: . Il tentativo di mettersi nell\’ottica femminile partorisce un film meno volgare e più simpatico. Ma naturalmente Brizzi smentisce entrambe le premesse: le sue commedie \’adulte\’ hanno per modello dichiarato la psicologia dei personaggi (sifaperdire) di Neri Parenti. Figurine da scambiarsi nel Risiko della vita. Maschietti capponi, donnine coccodè, problemi Intimissimi.

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BIUTIFUL

Un padre che non ha conosciuto suo padre e sa che sta per lasciare orfani i propri figli, vive nella melma della bigiotteria umana dei quartieri meticci di Barcellona facendo lavori sporchi con (su per tra fra) gli extracomunitari. Ma gli fa schifo mangiare il gelato con le mani e leccarsele: tenta di dare un\’educazione in famiglia, alla sua vita e alla sua morte. Impossibile. La moglie prostituta lotta con una paranoia da ricovero, il fratello gozzoviglia al ritmo alcolico de la noche, la polizia corrotta ha scatti di razzismo, un tumore gli consuma le ossa e tutto il resto, ogni buona intenzione finisce in strage di sentimenti o di esseri umani. Javier Bardem, di nuovo col mare dentro, urina sangue, si siringa il sangue, dissangua la speranza in un mondo lercio dove ogni suono è rumore e ogni luce illusoria. Alejandro Gonzalez Iñarritu di “Amores Perros”, “21 grammi” e “Babel”, rinuncia (non del del tutto) alla struttura a incastri e si dilunga compiaciuto esibendo cadaveri, muri marci, gufi morti, falene, echi e simboli stridenti. E\’ un Autore, sa come farlo. E il suo credibile protagonista che parla malvolentieri coi morti dà la mazzata definitiva al sopravvalutato “Hereafter”. Ma anche a Iñarritu non piace impiastricciarsi davvero col proprio gelato. Purtroppo si vede.

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MOULIN ROUGE!

Melodramma musicale Australia/Usa 2001
La Traviata e Madonna, Elton John e Mary Poppins, il tango e Randy Crawford, Evita e Sting. Tutto in pentola in nome di quell’amor ch’è palpito e serviti in vorticosa salsa musical nell’accecante cartapesta di una Pigalle di fine 800, viziosa eppure disneyana. Ben fatto e ‘strafatto’: trip deciso ad estasiare. Nicole Kidman è da Olimpo delle Dive (Oscar negato, seguirà risarcimento), il cast bohémienne eccelle, la musica conquista e commuove. L’australiano Baz Luhrman, che portò Shakespeare (e Leo Di Caprio) a Verona Beach, dirige una festa barocca per occhi kitsch rubando tutto quanto fa melodramma. Un balocco sovraccarico, incalzante, eccessivo; perfettamente inutile e leziosamente perfetto come dev’essere ogni opera d’arte.

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LADRI DI CADAVERI

II manigoldi irlandesi Brendan Burke e William Hare sono realmente vissuti a Edimburgo nei primi decenni dell\’800: lo scheletro di uno di loro è conservato nel museo cittadino e fa l\’occhiolino dall\’ultima inquadratura. Divennero serial killer improvvisati per fornire materia prima alle illuminate (illuministe) università di medicina della capitale scozzese che sventravano più cadaveri di quanti il boia ne mettesse loro a disposizione. Poiché solo gli impiccati erano carne da macello per gli esperimenti, e i cimiteri erano sorvegliati dalla milizia, i due iniziarono a sopprimere passanti a caso, senza rovinarne il corpo, ricavandone lauti guadagni. Bentornato a John Landis (“Animal House”, “The Blues Brothers”, “Un lupo mannaro americano a Londra”, “Una poltrona per due”), residuato (s)bellico di un cinema anarchico che tutto dissacra schizzando humour nero. E\’ invecchiato, più compiaciuto nello stile, troppo invaghito da una che dapprima diverte e poi va in replica per un\’ora. Ma resta un Maestro di dettagli e di attori: sesso col cappello, vecchiacci incriccati, Simon Pegg (“Hot Fuzz”) e Andy Gallum Serkis burattini perfetti, Tom Wilkinson sporco pozzo di scienza, Tim Curry e Christopher Lee a illuminare piccoli ruoli affilati.

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UNKNOWN

Intrigo nella grigia Berlino, e non è una novità. Il dottor Liam Neeson, appena arrivato per un convegno di biotecnologia, ha un brutto incidente in taxi, si risveglia dopo quattro giorni di ospedale e corre in albergo dove immagina la moglie sia impazzita di preoccupazione. Invece la splendida January Jones di “Mad Men” non solo non lo riconosce, ma è in serena compagnia di un uomo che ha preso la sua identità. La Security non gli crede, la Polizei neanche, ma lui insiste e va a sbattere contro sorprese depotenziate da decine di film analoghi (anzi identici) e contro inseguimenti depotenziati da centinaia di film simili, anche se con meno soldi da spendere. Entrambe le componenti sono sballate e noiosette: voragini logiche nei comportamenti e fracasso costante. Ma siamo rassegnati alle lodi di chi intonerà la consueta pippa hitchcokiana (con echi del peggior Polanski) sul personaggio in balia di eventi che non controlla: qui nessuno è chi si crede che sia e nemmeno chi egli pensa di essere. Il regista di “Orphan” si conferma abile nella confezione, ma smarrisce l\’efficacia del romanzo a monte. Molto bravi Diane Kruger e Bruno Ganz. Il botanico poco tonico Liam Neeson ha la faccia giusta di chi è stato beccato senza documenti e sa di non essere Matt Damon.

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THE GREEN HORNET

Che c\’entra, anzi come c\’entra Seth Rogen, protagonista di tanto cinema americano giovinastro e sovrappeso – da “Molto incinta” a “SexBud” – nei panni di un supereroe? C\’entra eccome. Il film l\’ha prodotto, scritto e interpretato lui, adattando alla propria figura (in ogni senso) un personaggio creato per la radio nel 1936 e poi travasato in fumetti, cinema e serie tv. E\’ il figlio gaudente del severo editore di un importante giornale: contraddice nelle notizie di cronaca mondana, i severi editoriali del padre in prima pagina. Rimasto orfano, fa amicizia con un meccanico asiatico che diviene per lui ciò che Archimede è per Paperinik. Inizia a combattere il crimine per gioco: saettare da calabrone vendicatore per lui è un vizio, un impacciato capriccio di giustizia. Quello che mena le mani e fionda le lame è l\’altro. La regia di Michael Gondry (“Se mi lasci ti cancello”, “Be Kind Rewind”) dà un tocco di complessità d\’autore a una trama che (si) diverte mescolando generi e accumulando strati fino a risultare appetitosa. Finalmente un supereroe che non ci frantuma le palle lagnandosi delle troppe responsabilità, ma si esalta beato in un ingegnoso mondo da balocco dark. Dove puoi incontrare Cameron Diaz, James Franco e lo strepitoso cattivo Christoph Waltz (faccia a faccia da urlo).

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IMMATURI

Lo spunto era improbabile ma buono: ex compagni di liceo costretti costretti, vent\’anni dopo, a rifare l\’esame di maturità causa annullamento ministeriale (lo annuncia Cesara Bonamici al tg). Non ricordano ciò che studiarono, studiano i propri ricordi. Ma l\’idea da notte dopo-dopo-dopo-gli-esami va subito sprecata – anzi, se la dimenticano proprio – in favore dei soliti bamboccioni che nidificano in un Italia da bel tinello (medio/borghese) che esiste solo nel brutto cinema. Lo psichiatra Raoul Bova va in crisi alla notizia che diventerà padre. La chef Ambra conta i giorni di volontaria astinenza dal sesso di cui è stata troppo golosa. LucadelleIene si finge sposato per arginare l\’amante. PaolodelleIene convive con brutto segreto (sifaperdire). Ricky Memphis non si schioda dalla attenzioni di mammà (babbo Maurizio Mattioli è come sempre il migliore). Paolo Genovese, regista del tiepido Trio di Babbi (Natale), cucina passato insipido e presente bollito in salsa di Alex Britti. L\’esatto opposto delle garbate malinconie tv di Fabio Fazio: anime loro, voci stonate in campo e fuori, inni al Subbuteo che sanno di nostalgia forzata, e dunque davvero canaglia. La tristezza serve a far succedere qualcosa, ulula il dottor Bova. Infatti se un film giocoso mette tristezza uno si alza e se ne va.

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SCHULTZE VUOLE SUONARE IL BLUES

Film crepuscolare, premiato a Venezia per l’elegante regia di Michael Schorr: stile grottesco tinteggiato di poesia. Ci porta dalla Sassonia alla Louisiana, dalla polka alla musica dell’anima, dalla birra in balera a quella bevuta in riva alle paludi, inseguendo il suo pacioso protagonista, uomo a sua volta al seguito di un motivo d’oltreoceano che l’ha accalappiato via radio. Vediamo lo straordinario Hans Krause far capolino dietro la fisarmonica dopo aver perso il lavoro, condannato alla pesca e alla compagnia dei nani da giardino. Poi il viaggio: serafico ma convinto, definitivo ma non triste, surreale ma mai comico. Si parte in zona Loach, poi squarci di Kaurismaki: lo strano caso di un amabile suonatore che, partito per suonare, finirà suonato nel più dolce dei modi.

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IL CIGNO NERO

Una ballerina perfezionista al primo ruolo da protagonista deve interpretare sia il cigno bianco (amore puro) che quello nero (seduzione malvagia) agli ordini del coreografo Vincent Cassel che ha fatto di lei un\’improvvisa étolile ai danni di Winona Ryder che l\’ha presa malissimo. Siccome Tchaijkovskij ognuno lo scrive come vuole, anche il regista di “Requiem for a Dream” gli sfattona un po\’ attorno e spinge la malcapitata sulle punte in morbosi passi a due col maestro che le solletica la libido, la madre apprensiva, una rivale, molte allucinazioni, la droga, il sesso lesbo, il tema del doppio, lampi horror… Lo stile chirurgico di Aronofsky lavora a mazzate sul corpo della bravissima Natalie Portman che si guadagna l\’Oscar in tutù. Ma non gli riesce la metamorfosi, con resurrezione mortale, che gli riuscì sul corpaccione martoriato di Mickey Rourke in “The Wrestler”. Qui le ferite sulla pelle partoriscono ali simboliche che non fanno decollare la trama ma la appesantiscono. Come l\’uccello di rovo della leggenda (vedi Padre Ralph), un altro volatile raggiunge l\’eccellenza solo conficcandosi una maligna spina nel petto. Ma sono perfezioni e perversioni sue, della bella statuina su un lago di miraggi di ghiaccio. Capriccio intellettuale, sgorbio d\’autore. Nulla di più.

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RANGO

Inizio folgorante: un camaleonte se la tira da attore su ampi scenari, ma un incidente ci rivela la verità e ne mette a nudo le crisi di identità (battuta: come si fa a scoprire il colore naturale di un camaleonte? Mettendolo su un altro camaleonte). La tragica fatalità gli offre però l\’occasione di diventare un eroe western in un paese essiccato dalla speculazione di chi chiude i rubinetti per vendere terreni aridi ai costruttori di nuove Las Vegas. Il rettile occhiuto è nominato sceriffo mentre un trio di gufi mariachi non perde occasione per (de)cantarne la morte sicura. Cavalcate, spruzzi d\’amore, padellate, un immenso serpente a sonagli come nemico e un variegato bestiario antropomorfo che fa il controcanto volgare ai frequenti acuti metafisici di una trama ambiziosa, attraversata da un armadillo filosofo e da dialoghi sul funzionamento delle sinapsi. In forma di cartoon d\’alto Rango, è l\’ennesimo post western grintoso di quest\’epoca bisognosa di eroi assolati. Anche qui la Leggenda è rispettata, evocata, frantumata, dissolta, e fatta risorgere con tono epico, citazioni solenni e solenni ripetizioni. Dirige Gore Verbinski de “I pirati dei Caraibi” (marchio di fabbrica: animaletti con chele in movimento rapido). Riservato ai bimbi prodigio. E agli eterni fanciulli del West.

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