Real Stories
Writing interesting stuff for creative people.
Ogni stroncatura non è che un atto di amore tradito
Post Image
SANCTUM 3D

Nelle viscere della Papua Nuova Guinea, esplorando alla ricerca del collegamento con l\’oceano: secondo il rabbioso parere del rampollo dello speleologo veterano che adotta metodi risoluti – ma efficaci – alla maniera di un cinico padreterno. Un ciclone li lascia a mollo nel conflittuale rapporto padre/figlio con l\’acciaccato compagno di mille avventure e il finanziatore della spedizione, arrivato in elicottero inneggiando alle Valchirie con spacconeria e fidanzata inesperta al seguito. Stupore, panico, speranza, buio. La decimazione del cast alterna lampi feroci a dolorosa umanità. Pipistrelli (buon segno) e musica a martello (pessimo segno). Dialoghi fossilizzati sulla levigazione dei caratteri, ma fanno capolino Coleridge e i Ramones. Un bravo regista australiano mette mano al B-movie rispettandone le regole con dedita manovalanza, ispirata e illuminata (ops) dalla magica strumentazione tecnologica con cui James Cameron (qui produttore) realizzò “Avatar”. Non scendevamo sottoterra da “The Descent” (recuperatelo!). Qui l\’unico mostro è l\’acqua, ma frequenti zampate di angosce tolgono l\’ossigeno. E l\’uso del 3D per creare prima spazio e poi claustrofobia è una genialata.

Leggi Ancora
Post Image
PIRANHA 3D

Un terremoto subacqueo spalanca il fondale del lago Victory (Nebraska) e ne fuoriescono mordacissimi piranha preistorici che tingono di rosso la baia affollata di giovinastri sbevazzanti e danzanti tra musica a palla e bellezze al bagno con le poppe in vista. Voraci e compatti come zombie acquatici, i pesci-canini rovinano le innocenti bugie di un 17enne che molla i fratellini per un pomeriggio di avventure (il belloccio è il nipote di Steve McQueen) e il videoclip porno/lesbo di un regista (Ultraman) pieno di tequila, ma svuotato degli arti inferiori e di quello di mezzo. Le creature lo addentano e ve lo risputano addosso: ecco a cosa serve il 3D. Alejandre Aja, già all\’opera sul gustoso remake de “Le colline agli occhi”, non rifà l\’omonimo horror di Joe Dante (1978), né il micidiale seguito (debutto di James Cameron). Ma se la gode a sfottere i cliché del B-movie esaltandone gli effettacci ed esagerandone le improbabilità: Ving Rhames spara e arrota gremlins con le branchie, il giovane fa l\’eroe senza perdere le infradito, la sceriffa Elisabeth Shue riceve una feroce telefonata finale. Il filmastro dura poco, fa divorare subito Richard Dreyfuss che sopravvisse allo squalo di Spielberg e mette a mollo il regista di “Hostel” e lo scienziato pazzo di “Ritorno al futuro”. Genialate.

Leggi Ancora
Post Image
EASY GIRL

Per attirare su di sé l’attenzione delle compagne che non la ca…lcolano, Emma Stone sfrutta l’occasione offerta da un amico gay nel mirino dei bulli: affila i sexy occhi da gattamorta, accelera il passo modaiolo riaddobbato in tinta e sparge ai quattro venti la notizia che ha perso la verginità. All’inizio passa per una giusta. Poi scattano i boomerang: la sua reputazione finisce nella pozzanghera e tutti i nerd in circolazione vogliono pagarla perché dica che è stata anche con loro. Poteva essere un filmastro trasgressivo all’attacco dei rigurgiti di castità della morale yankee contemporanea. Invece si lancia in uno spericolato parallelo con “La lettera scarlatta”, romanzo di Nathaniel Hawthorne (1850), la cui protagonista scandalizza la Boston puritana del 600 commettendo adulterio e rifiutandosi di rivelare chi sia il padre di sua figlia. Viene condannata a portare la A di adultera sul petto. Poteva comunque essere una stramba parodia pretestuosa, ma non del tutto disprezzabile. Ma invece di sfottere se stessa, la trama si accanisce nel prendere in giro Demi Moore, che interpretò la sventurata alla gogna. Il pettegolezzo viaggia rapido, le immagini pure, il ritmo langue. Cast proveniente dai film giovanastri a stelle e strisce, ma ognuno aveva fatto meglio altrove. Detto tutto.

Leggi Ancora
Post Image
SANSONE

All’origine ci sono i gloriosi cartoon Disney con adorabili animali antropomorfi. Ma quando cani, gatti e scoiattoli sono reali, sentirli parlare con voci e accenti umani è un puntuale autogol: ululati di comicità inesplosa che da noi smarriscono il loro unico fascino: misurare celebri ugole costrette in gole canine. Qui ci perdiamo Owen Wilson in favore di Pupo. Un ingombrante alano segue la famiglia d’adozione in California scontrandosi con una realtà fatta di azzimati cagnetti in borsetta, scuole di recitazione e di ballo per cuccioli abbienti e dobermann bulli che lo complessano con accento teutonico. Capitomboli déjà vu sui prati e sul surf. Cinofilo bacio notturno su sfondo di fuochi d’artificio. Ai più cinefili Pongo e Peggy bastava la luna piena.

Leggi Ancora
Post Image
I RAGAZZI STANNO BENE

La gara di bravura tra lady da Oscar finisce pari. Per interpretare una lesbica, Annette Bening si sforbicia capelli e occhiatacce. Julianne Moore aggiunge solo qualche sfumatura (e un vibratore…) all\’abituale perfezione al di sopra dei sessi. Infatti cade in tentazione col babbo (tramite provetta) dei loro figli: il bravo Josh Hutcherson da Terabithia e l\’Alice tra le (poche) meraviglie di Tim Burton. Il terzo incomodo è Mark Ruffalo, che ieri donò il seme , e oggi si fa fecondare il giardino dalla più frustrata nel lavoro. Seguono amplessi sudati e la cacciata del lavorante messicano testimone. Una regista omosex, a sua volta fecondata artificialmente, fa in modo che tutto sembri trasgressivo perché nulla lo sia veramente. Le due madri temono che il loro ragazzo sia gay, gli spiegano senza imbarazzo perché guardino dvd porno con protagonisti maschiacci, difendono la staccionata del loro focolare, abbassano le difese quando l\’intruso fa simpatica irruzione, ma non allargano la famiglia dopo il consueto cine-rito yankee delle pubbliche scuse. Anzi, mai visto un personaggio liquidato tanto in fretta. Erotismo saffico Joni Mitchell e un finale in auto mano-nella-mano che fa tanto “Thelma & Louise”. Ma qui ogni dramma ha il paracadute.

Leggi Ancora
Post Image
IL TRUFFACUORI

Un bellimbusto dalla seduzione facile e con una storia strappalacrime sempre pronta per potersela filare, si guadagna da vivere separando (su commissione) le coppie male assortite. Per lui è un\’arte, ha talento, ci canta il gospel. Romain Duris, splendido protagonista dello splendido “Tutti i battiti del mio cuore”, fa lo splendido alla maniera di Alain Delon. Può permetterselo. Dopo una divertente sexy-azione esotica, gli tocca la scintillante ereditiera Venessa Paradis che sta per sposare un altrettanto scintillante buon partito che a papà proprio non piace. La simpatica banda con elegante punta di diamante, tenta invano di trovare un difetto al fidanzato perfetto che se porta via gli avanzi dal ristorante è per offrirli al barbone di fronte. Non resta che sedurre la pupattola col broncio, sullo sfondo del lusso di Montecarlo e delle curve a gomito dove nacque e morì la fortuna di Sua Maestà Grace Kelly. L\’impostore finge di adorare gli Wham e “Dirty Dancing”, poi ovviamente si innamora davvero, poi accade una notte, poi sembra che ormai no… e invece sì, è chiaro. Storia bollita, ma confezione assolata con raggi di humour che causano innocui brividini. Il regista è un complice di Luc Besson nel rifare in salsa francese il Grande Cinema Yankee. A tratti ce la fa.

Leggi Ancora
Post Image
HEAT – LA SFIDA

Conflitto di interessi tra due Mostri Sacri del cinema contemporaneo, di nuovo insieme 20 anni dopo il secondo Padrino e per la prima volta racchiusi nelle stesse inquadrature (godetevele: sono solo un paio, memorabili, stracolme di allusioni, confronti titanici, pezzi di bravura). Bob De Niro è un rapinatore che sta organizzando l’ultimo, eclatante, colpo della sua vita (sempre fatale, al cinema) quando un amore imprevisto e necessario gli rovina la festa. Al Pacino è il detective ferrigno deciso ad impedire che il previsto sanguinoso attacco ad un blindato vada a buon fine. Mentre una crisi famigliare getta acqua sul fuoco della dedizione al lavoro da parte del guerrigliero ossessivo al servizio dei buoni, preda e cacciatore si fiutano, si prendono gioco l’uno dell’altro, si mettono sull’avviso a vicenda, duellano nel livido finale. La vita di entrambi è vocazione, ingranaggi da rispettare, onore a perdere. Il regista di Insider, Michael Mann, si prende le tre ore che gli servono per riscaldare con un avvolgente manto psicologico un western urbano che perde il suo ritmo nel romanticismo, sbanda nella ricerca della perfezione ad ogni costo (fotografata dal nostro Dante Spinotti), se ne frega di mettere troppa carne al fuoco snobbando storie e personaggi di contorno (vedi Val Kilmer). Eppure è un capolavoro di tensione, un monumento alle gesta dei suoi interpreti.

Leggi Ancora
Post Image
BURLESQUE

Christina Aguilera è Alice, cameriera di provincia senza mezzi ma con tanta voce. Il Paese delle Meraviglie notturne è Los Angeles, dov\’è il club sul viale del tramonto della maga Cher che ha scoperto il segreto dell\’eterna giovinezza (raro caso di plastificazione quasi nobile), ma ha bisogno di una stella canterina per far decollare tacchi, pizzi, parrucche e paillettes in parata sul palcoscenico. C\’è una rivale, c\’è Stanley Tucci costumista frufru, c\’è il barista/paroliere belloccio da amare a mo\’ di Marilyn, ci sono i resti delle scenografie di “Chicago”, gli scopiazzamenti da “Chorus Line”, la balorda idea di avere “Cabaret” per modello. Nulla che non sia stato già visto, orecchiato e (ab)usato, ma la volonterosa Christina ha il merito di debuttare sul grande schermo cantando il suo flashdance con la propria voce e sculettando le sue dirtydancing col proprio corpo. Il filmastro non stonerebbe se fosse conscio di essere l\’ultima ruota aggiunta a un collaudato carro sfarzoso; se steccasse sovraccarico e compiaciuto di non prendersi sul serio (alla “Moulin Rouge!”, per intenderci). Invece il titolo già dice tutto: un genere che fu ironico, giocoso e vizioso, oggi risorge pacchiano e presuntuoso tirandosela da sexy. E\’ la differenza che passa tra la Belle Époque e i trans.

Leggi Ancora
IL BUON GIORNO DEL MATTINO

La produttrice tv Rachel McAdams è la donna che nessuno vorrebbe sposare: alla soglia dei 30, vive solo per il lavoro: stakanovista ma precaria, cena con le galline, sveglia alle 4 per essere in onda all\’alba, non spegne mai il cellulare e straparla agli appuntamenti con pretendenti presto in fuga. Ciononostante, prima riesce a convincere Jeff Goldblum ad assumerla in un network di New York, poi folgora in ascensore il sexy e paziente Patrick Wilson. Ma rischierà di perderlo per l\’ostinazione con cui si dedica anima e corpo (non tutto) alla conversione di un giornalista premio Pulitzer alle sciocchezzuole d\’intrattenimento mattutino. Il burbero Harrison Ford dovrà passare dalle ferite in Bosnia, e dal colera di Madre Teresa, a rane baciate e tatuaggi sul popò. L\’Informazione sembra aver perso, ma avrà la sua rivincita. La commedia brillante, con notevoli scivolate di gusto, trionfa invece senza sosta, sospinta dalla sceneggiatrice de “Il diavolo veste Prada e dal regista di “Notting Hill” (ma anche degli intriganti “L\’amore fatale” e “The Mother”). Qualcuno cita Abramo Lincoln, qualcuno Justin Timberlake, qualcuno celebra la frittata made in Italy, qualcuno (Diane Keaton) sfodera tutta la classe pungente di una ex miss Arizona che vuole sempre avere l\’ultima parola in video.

Leggi Ancora
Post Image
IL GIOIELLINO

Latte macchiato di orgoglio, superficialità carogna e dilettantismo spacciato per finanza creativa: , se i bilanci vanno a picco li sbianchetti, se non hai liquidità la ipotizzi alle Cayman, se proprio sei spacciato vai in Borsa. Il crac della Leda (Latti E Derivati Associati) rimanda alla Parmalat di Callisto Tanzi, con l\’eco dei guai d\’oltreoceano causati dalla finanza che ha sovrastato l\’economia. In altre parole: il gioco di specchi che moltiplica il topolino. Finché la montatura si infrange. Andrea Molaioli non usa i toni del nostro cinema di denuncia che fu: buoni e malvagi, vittime e oppressori, guardie e ladri. E\’ più vicino al nobile grottesco del “Il divo” di Paolo Sorrentino. Come ne “La ragazza del lago”, scruta i personaggi più che la storia, tratteggia sguardi e vanaglorie, ci immerge in un denso psico/noir in cui la tragedia è assente perché inesistente nell\’animo di chi dovrebbe viverla (idem la voce dei creditori nella loro testa). Remo Girone dimentica la Piovra per indossare i chiaroscuri di un irresponsabile impunito. E\’ sempr ela smorfia di Toni Servillo, scostante direttore finanziario dalla ferrea etica aziendalista, a mostrarci la faccia torbida di un Paese in cui anche i kattivi non sono all\’altezza di Wall Street.

Non ci sono kattivi con la k nel cinema italiano che oggi getta lo sguardo sulle malefatte sociali, politiche ed economiche del Bel Paese. Manca la materia prima: la statura tragica dei soggetti. Manca il nero shakespeariano che tinteggia Hollywood, la Casa Bianca e Wall Street, la diabolica consapevolezza degli squali alla Gordon Gekko che innesca – e spesso spinge fuori misura – l\’ira cine-vendicativa di Oliver Stone e Michael Moore. Il più potente riassunto del cinismo tricolore – Il divo di Paolo Sorrentino – è uno struggente capolavoro grottesco. I nostri film di denuncia non alzano più la voce e gli spartiacque morali alla maniera di Francesco Rosi: il cattivo italico contemporaneo è disumano in senso patetico: la tragedia è sempre di uomini in fondo ridicoli.
Andrea Molaioli indaga nella melmosa via lattea di un\’azienda di provincia, che tantissimo ottenne e tantissimo precipitò, con lo stesso tono psico/noir che ha fatto la fortuna del precedente La ragazza del lago. Siamo calati nel buco nero di debiti, orgoglio e superficialità in cui sprofonda la Leda (Latte E Derivati Associati, ma tutti sappiamo che si parla di Tanzi) attraverso la vanagloria e le debolezze di timonieri inadeguati. Arriveranno le manette, ma è un particolare secondario, un fotogramma. Nessun eroe, nessun detective si erge sulla trama, e Molaioli si ferma alla soglia del processo, di ogni processo. La condanna scaturisce dai comportamenti che ha tratteggiato, in perenne chiaroscuro, con i co-sceneggiatori Gabriele Romagnoli e Ludovica Rampoldi. Un amaro misto di rassegnato livore e stizzita curiosità umana che ha il limpido merito di evitare ogni complice pietas cinematografica scrutando nel torbido Così, il silenzio dei truffati risuona glaciale ne Il gioiellino, ma la loro è una voce che non ci può essere, perché mai era stata presente nelle orecchie e negli scrupoli dei burattinai.
Non è tutto Parmalat ciò che qui lo sembra. La storia è ambientata in Piemonte, rimanda a Parma, ha echi d\’oltreoceano. Nel mirino c\’è il crac dell\’economia intesa come gioco di specchi, come vittoria della \’finanza creativa\’ sui capitali solidi, come filosofia secondo la quale . Nei panni del direttore finanziario Ernesto Botta (ispirato a Fausto Tonna), è ancora una volta la strepitosa smorfia scostante di Toni Servillo a incarnare l\’arroganza dell\’egoismo dedito a un\’etica ostinata, aziendalista a dispetto di ogni rischio: gli è stato insegnato. Poi, si può (non) discutere di che genere di soluzione si tratti.
In una battuta buona per ogni tempo e per ogni parte politica, un senatore (Renato Carpentieri) dice che per farsi strada occorrono un giornale, una squadra di calcio e una banca. Quando tutto crolla, qualcuno si suicida, qualcuna (Sarah Felderbaum) ha tentato invano di far valere i master all\’estero sui diplomi da ragioniere e sull\’inglese spiccicato basic, qualcuno sotterra le memorie dei computer, qualcuno chiede un appuntamento salvifico al presidente del Consiglio e finisce col vendergli il pezzo pregiata della propria squadra (è Gilardino). Qualcuno confessa la storiella – ecco la \’finanza creativa\’, ecco il grottesco italiano – del preistorico bianchetto con cui vennero truccati i bilanci inventandosi liquidità fittizie in uno scrigno ai Caraibi.
Remo Girone è stato saggio nell\’evitare ogni minimo fiato da boss. Agisce sottotono in ricchezza e in (presunta) povertà: il suo Amanzio Rastelli ricalca la gestualità del Cavalier Calisto, un agire che ha radici antiche, coltiva il rispetto adulante dei concittadini e non sa immaginare il futuro senza il proprio giocattolino dal fondo bucato: più che sul latte versato è probabile che pianga sulle onorificenze revocate.
In un simpatico film di Percy Adlon del 1989 – Rosalie Goes Shopping, stesso regista e stessa teutonica interprete di Bagdad Cafè – una casalinga dell\’Arkansas cede di continuo alla tentazione consumista villeggiando in un lusso kitsch ottenuto surfando tra i massimali di troppe carte di credito. Perché . La stessa frase, aggiornata ai tempi, all\’euro e al personaggio, ritorna in questo gioiellino di caratteri e atmosfere che racconta gli intimi autogol di cattivi indegni di una cappa tragica. li sentiamo aggiungere. Dall\’edonismo reaganiano alla più colossale bancarotta di una società privata italiana, il motto è rimasto identico. Mancava un nostro film che sapesse raccontarlo.

(da IL SOLE24ORE, marzo 2011)

Leggi Ancora
28
373