Nelle viscere della Papua Nuova Guinea, esplorando alla ricerca del collegamento con l\’oceano: secondo il rabbioso parere del rampollo dello speleologo veterano che adotta metodi risoluti – ma efficaci – alla maniera di un cinico padreterno. Un ciclone li lascia a mollo nel conflittuale rapporto padre/figlio con l\’acciaccato compagno di mille avventure e il finanziatore della spedizione, arrivato in elicottero inneggiando alle Valchirie con spacconeria e fidanzata inesperta al seguito. Stupore, panico, speranza, buio. La decimazione del cast alterna lampi feroci a dolorosa umanità. Pipistrelli (buon segno) e musica a martello (pessimo segno). Dialoghi fossilizzati sulla levigazione dei caratteri, ma fanno capolino Coleridge e i Ramones. Un bravo regista australiano mette mano al B-movie rispettandone le regole con dedita manovalanza, ispirata e illuminata (ops) dalla magica strumentazione tecnologica con cui James Cameron (qui produttore) realizzò “Avatar”. Non scendevamo sottoterra da “The Descent” (recuperatelo!). Qui l\’unico mostro è l\’acqua, ma frequenti zampate di angosce tolgono l\’ossigeno. E l\’uso del 3D per creare prima spazio e poi claustrofobia è una genialata.
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