Real Stories
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Ogni stroncatura non è che un atto di amore tradito
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WE WANT SEX

Lavoratori maschi impiegati nel 1968 a Dagenham, sobborgo operaio di Londra: 55.000. Donne: 187. Ritenute non qualificate, tenute al riparo dal vento sessantottino che trasporta gli uomini allo sciopero, sfruttate, mal alloggiate e considerate manodopera umana a basso costo. In fabbrica certo, ma spesso anche in famiglia. Poiché , una di loro alza la voce per chiedere parità e diritti (il personaggio è inventato). Poi è un coro, una marcia sul Big Ben, una rivendicazione che cambierà la condizione femminile. Nigel Cole, che immerse Brenda Bleython nell\’effetto serra della cannabis (“L\’erba di Grace”), e mise in posa per beneficenza un groppo di old ladies in “Calendar Girls”, qui sceglie di nuovo il tono giocoso per raccontare una Storia british. Fa bene: gli attimi sopra le righe gli riescono meglio degli acuti (melo)drammatici. Ma fnon sono la chiave migliore per dare spessore a una vicenda che, narrata così, sembra poco di più di una rievocazione kitsch/civettuola. Sally Hawkins replica la buona verve de “La felicità porta fortuna”, approdando fiera al cospetto di Sua Maestà Miranda Richardson. L\’amabile Bob Hoskins boffonchia di guerre vecchie e nuove, il titolo nostrano boffonchia di pruriti fuoritema tentando di approfittarsene.

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L\’ULTIMO ESORCISMO

Questo ennesimo cine-esorcismo non sarà certo l\’ultimo, ma è tra i meno peggio di una serie logorata da anatemi sempre più grotteschi e contorsioni sempre più vomitevoli (in ogni senso). Complice il solito espediente del finto documentario, luci e ombre fanno utile confusione dribblando il già visto quando la paranormal activity finisce in zona “L\’esorcista”: su scale da scendere a mo\’ di granchio o su letti da torcicollo. Bella idea diabolica: la macchina da presa si fa essa stessa strumento di morte. Lo scacciademoni è un pastore (figlio d\’arte) con la vocazione del performer religioso a stelle e strisce: uno showman in viaggio per conto di Dio tra anime da scuotere con Sacre Scritture e giochi di prestigio. Perso il pilota automatico della fede, gli resta la truffa per campare: un fumante crocifisso a pile, voci infernali che si manifestano grazie all\’elettronica. Nella Louisiana allagata di superstizioni, il suo ultimo cliente è un vedovo che vive isolato con la Bibbia, la bottiglia, il figlio rabbioso e la figlia 16enne violentemente sonnambula. E\’ lei che sgozza i tori? O il diavolo c\’è davvero, così che il falso esorcista pentito ritrovi la retta via? Dopo un buon percorso di sospetti, tutto si compie in un finale che ribalta le credenze e strizza l\’occhio a “Rosemary\’s Baby”.

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UN MARITO DI TROPPO

La Dottoressa dell’Amore Uma Thurman cura e consiglia i cuori infranti e/o dubbiosi di New York. Dopo averle rivolto una domanda in diretta radiofonica, una futura sposina cambia idea e molla il fidanzato pompiere, anche lui all’ascolto. L’uomo è spinto alla bonaria vendetta da un giovane amico hacker (vive sopra un ristorante indiano che è divenuto il suo variopinto focolare): risulterà coniuge della portavoce di Cupido. Il che le impedisce di convolare a nozze col fidanzato perfettino che quando è nervoso s’ingozza compulsivo. Poiché è Colin Firth, il ruolo prevede qualche figuraccia da imbecille, ma anche una dignitosa collaborazione quando la moglie involontaria va in cerca dell’ignoto marito. Qui il film è già finito, ovvero dopo 10 minuti. Lo trova al biliardo, si ubriaca, ci passa la notte, lo rivede, eccetera, eccetera, fino alle (uff) dichiarazioni on line e all’uso del sistema antincendio (argh) per far arrivare il giusto sposo alla cerimonia. La commediola ci raggiunge con due anni di ritardo e senza neppure il minimo sindacale di simpatia garantito dalla Thurman. Che funziona alla grande in ruoli leggeri solo se grintosi: fu gradevolissima ne “La mia simpatica ex ragazza” e – ovviamente – ben altra Sposa. E il pompiere chi lo fa? Uno preso perché assomiglia a Bardem.

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DALLA VITA IN POI

L’amore bullo tra la sciacquetta Nicoletta Romanoff (tendenza: velina de borgata) e il neocarcerato Filippo Nigro (tendenza: cercasi Romanzo Criminale) non resiste alla condanna a trent’anni che lui si è beccato. Lei si impegna per conoscere i calciatori della Roma, l’amica del cuore (tendenza Cyrano) si impegna a scrivere quotidiane lettere appassionate al recluso, per conto dell’impaziente troppo bionda. Non è una fatica per una giovane donna energica: costretta sulla sedia a rotelle, ma bisognosa di spiccare il volo. Trova il coraggio, va in parlatorio, svela il segreto. Lui la prende male, poi meglio, poi la prende, la solleva e il bacio impossibile ha luogo. Anche l’amore? O il sospirato permesso/premio finirà male? Non si tema il melodramma: il tono è uno strano ibrido di grottesco macchiettistico e romanticismo triste che quasi conquista. Qualche colpo di scena, lampi di retorica e molti eccessi caricaturali: Pino Insegno in divisa è insostenibile e il carcerario Carlo Buccirosso anche. Ma, in tempi di orrida fiction televista (eccezion fatta per le gesta della banda della Magliana), va riconosciuto a Gianfrancesco Lazotti di aver girato un’opera curiosa, ritmata, onesta, sopra la media. E Cristiana Capotondi aiuta a dimenticare le imperfezioni.

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LA BANDA DEI BABBI NATALE

Vestiti come da titolo, tre amici bocciofili post-Lebowski rischiano di passare il Natale in questura e in cella. Come ci sono finiti? Lo raccontano, prendendosela comoda (e scherzandoci sopra), alla (im)paziente ispettrice Angela Finocchiaro che non ama le lingue ruffiane, ma tollera quelle lunghe. Aldogiovanniecc pagano da sempre pegno al lungometraggio (il loro pane sono i mitici \’corti\’ e gli sketch di media durata), ma ogni due anni bussano al nostro spirito natalizio, ci chiedono se siamo felici e fanno del loro meglio per renderci tali. Ci fanno ridere? Ridere davvero? No, ma intrattengono con confortante simpatia: un\’atmosfera complice che hanno saputo creare e su cui campano di garbata rendita. La loro non-volgarità non è solo nell\’evitare peti e scope dal popò (vero Boldi?), ma nel non avere bisogno della farsaccia per artigliare una risata (vero De Sica?). Viaggiano in commedia sulla voce di Mina, trasognando Vianello, lavorando bene sul cast (la Maionchi!), maltrattando adorati animali, paracadutandosi sulle scale di una comicità che si va seccando da inverno a inverno. Per le risate di pancia, aspettiamo Zalone. Questo sembra dirci oggi il tenero trio, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo: sganasciarci per l\’ippopotamo scoreggione di “Natale in Sudafrica”.

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THE TOURIST

Una sensuale inglese, pedinata con accanimento da Scotland Yard, seduce uno stupito insegnante di matematica americano sul treno dalla Francia a Venezia. Ed è subito thriller. L\’unico thriller oggi possibile: esagerato con autoironia, patinato senza spocchia, contorto ma brillante, credibile perché sa di essere incredibile. Con l\’unica Jolie oggi possibile: diva che gioca col proprio fascino, affida le pupille alla macchina da presa e si lascia sexyaddobbare da Sophia Loren alla festa chic in cui rimbalza Raoul Bova. E\’ un peccato che l\’orrido “Salt” le abbia rovinato la copertura (vedendo capirete). E\’ la ex (?) di un ladro misterioso: 744 milioni di sterline fregate a un boss british che fa di tutto per essere russo: lo strepitoso kubrickiano Steven Berkoff con sgherri al seguito. L\’Italia è uno sfondo glamour, non la solita patacca mangia/ama/canta: Venezia si offre magica al fumetto: gondole nella nebbia e tegole spezzate in inseguimenti in bilico tra 007 e Casanova. Neri Marcorè lancia grandi frecciate da un piccolo ruolo, a Christian De Sica basta una battuta per scolpire la malagiustizia nostrana e il figlio d\’Arte che ha in sé. Il regista de “Le vite degli altri” non sbaglia un tocco, uno sguardo, un tempo. Johnny Depp partorisce se stesso ad ogni scena, memorabile quando passa dalla sigaretta elettrica a quella vera. Questo, e molto altro, agli americani non piacerà. Ma a noi sì. Tanto.

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DEVIL

Un suicida si lancia da un grattacielo di Philadelphia (inquadrata a rovescio) con un rosario in mano. E’ il segno che il diavolo è nell’edificio? Cinque persone restano chiuse in ascensore, situazione imbarazzante anche senza il Maligno. Un’ereditiera, un giovane disoccupato coi sensi di colpa, una guardia, un’anziana manolesta e un venditore di materassi. Tentativi di sdrammatizzare, insulti alle telecamere, musica molesta, dialoghi sempre più disperati, spray e suppliche per difendersi, vani tentativi di salvarli (il diavolo ci mette sempre la coda) e un nuovo cadavere ogni volta che le luci si spengono. E poi non ne rimase nessuno? No, uno rimane. Sarà lui il demonio? O ha usato il trucco di Agatha Christie in “Dieci piccoli indiani” (1939)? M. Night Shyamalan – che fu uno col sesto senso della suspense, che fu unbreakable – ha lasciato regia e scrittura ad altri, ma è la Mente di questo piatto primo capitolo di non indispensabili “Night Chronicles”. Appena si sa che il detective all’esterno ha perso moglie e figlio a causa di un pirata della strada, è ovvio in quale modo la città si ribalterà nel verso giusto: sempre sia lodato il perdono e chissenefrega di chi ha preso l’ascensore per l’inferno. Claustrofobia poca (è un difetto) e Stephen King come modello (idem).

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UNSTOPPABLE

Il giovanotto bianco: bello e impulsivo (ma non stupido) con problemi a casa. Il pensionando nero: saggio ed esperto (ma non arrogante) con figlie bisognose di eroi. Chris Pane, giovane capitano Kirk in “Star Trek” di J.J. Abrams. E Denzel Washington in versione Grillo Parlante (detta anche: young Morgan Freeman). Tutto già visto, variamente tirocinante: polizia, esercito, bagnini. Tutto già deragliato dai tempi di “Cassandra Crossing” ( sentii lamentare in sala nel 1976). Frecciatine su asili nido contro case di riposo, poi giunge la notizia in un baleno: un treno automatizzato senza freni pneumatici (ma con prodotti chimici) è diventato un missile fuori controllo grande come un grattacielo. L’odioso centravanti di instancabile sfondamento (777) esalta la forza visiva e fracassona del cinema di Tony Scott. Corre/corre la locomotiva sempre più forte, corre/corre verso la morte. Morde la rotaia, divora la pianura. E c’è un altro treno in collisione… Non è l’inno anarchico di Guccini, ma qualcuno prenderà il toro meccanico per la coda a 30 secondi dalla fine (un capolavoro al confronto). Con Rosario Dawson più bella che efficiente in ruolo sbagliato, il Film Rapido viaggia su un frequentatissimo binario morto. Ritmo in accelerazione costante, sorprese zero.

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TI PRESENTO UN AMICO

C’è la crisi. La crisi. Capito che c’è la crisi? Se non avete afferrato che si tratta di una commedia su un uomo in crisi sentimentale plurima, aggravata dalla crisi economica, qui ve lo ripetono 10 volte nei primi 5 minuti. Il bello e possibile manager Raoul Bova (recidivo a film mocciosi) teme di essere licenziato a Londra, invece lo promuovono a Milano. La città è un sacrario di prevedibilità: nei moti a luogo modaiolo e negli stati in luogo comune. Incontra e re-incontra allo sfinimento (a volte sessuale): la collega sexy Barbora Bobulova (macchia sulla carriera) a cui ha sottratto il posto, la – ehm – giornalista Martina Stella (non più sexy), la sottoposta Sarah Felderbaum che egli rovescia addosso di tutto e la gallerista derubata Sarah Kelly che vuole fare ingelosire l’amante scrittore. Nonostante il bellimbusto sostenga: ( diceva Nanni Moretti), crede Zarathustra sia un pittore e l’incontro col presunto rivale è l’unico attimo in cui lo vediamo osservare un oggetto scritto non ben (da lui) identificato. Piovono caricature: un tassista onnisciente e il fidanzato tradito. Sceneggiatura a livello oroscopo con finale scontato. si sente dire. Certo che no, siamo in un film dei Vanzina Bros.

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IN UN MONDO MIGLIORE

Vedere la madre ridotta a una larva bisognosa di morte, e il padre impotente di fronte a quel tumore letale, rende vendicativo un dodicenne in rapida crescita emotiva. Tornato da Londra in Danimarca, si fa paladino del compagno più debole, malmena il bullo della scuola per conquistarsi l\’immunità data dal rispetto, è aggressivo contro ogni forma di presunta viltà. Il padre del suo nuovo amico è un medico da campo che va e viene dall\’Africa: crede che si debba fare un bagno freddo per sbollire ogni rabbia e porgere l\’altra guancia per disarmare i violenti ed educare i figli. Cambierà atteggiamento quando dovrà curare uno squartatore di ragazze incinte? E quando l\’adolescenza del figlio arriverà a una svolta esplosiva? Il cinema dell\’ottima Susanne Bier di “Non desiderare la donna d\’altri”, “Dopo il matrimonio” e “Noi due sconosciuti” è palesemente esemplare e assolutamente morale: un lucido progetto di inquadrature e sentimenti in marcia verso un epilogo sempre sull\’orlo del parapetto retorico. Questa volta si sporge troppo. La storia ha una forza etica così forte, benefica, e a tratti commovente – così violentemente etica – da non aver bisogno di stormi di uccelli, nuvole e bimbi neri a far bella fotografia d\’intermezzo che tradisce ogni Dogma. Premiato a Roma da giuria e pubblico, Oscar come miglior film straniero.

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