Real Stories
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Ogni stroncatura non è che un atto di amore tradito
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PARTO COL FOLLE

Todd Phillips, già regista di “Starsky & Hutch”, si porta da Las Vegas ad Atlanta il gustoso nerd Zach Galifianakis, che in “Una notte da leoni” alternava chiappe e parole al vento, e lo mette on the road con il ben educato architetto Robert Downey jr che deve volare a Los Angeles dalla moglie sul punto di partorire. Anzi, è il cicciobarbuto, disarmante e infantile ominicchio, con droga, cagnolino, ceneri paterne e sogni di gloria al seguito, che mette on the road l\’altro. Il malcapitato incontra per caso la sciagura (altrui) fatta bipede e subisce: scambio di bagagli, espulsione dalle linee aeree in quanto presunto dirottatore, salto dal ponte con auto a noleggio, aggressione da un veterano invalido, fuga avanti e indietro dalla frontiera con il Messico, sensi di colpa nel karma, eccetera, eccetera, seguendo le codificate regole bislacche della coppia male assortita che finisce col volersi bene. L\’uno è la spalla elegante dell\’allucinogeno candore devastatore dell\’altro. Le buone maniere ipocrite sono crocifisse da quelle brutte e sporche (ma non cattive). Tra cine-citazioni fin troppo esibite (confrontate l\’uso de “Il padrino” con l\’abuso ad opera dei Fotter) e bravi attori quasi tenuti nascosti (Juliette Lewis, Jamie Foxx), ci si diverte con distaccata simpatia che diviene complice.

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VALLANZASCA

Biografico Italia 2010
Questa volta non c\’è un romanzo criminale alle spalle, non ci sono De Cataldo, Libbbano, Er Dandi, i Servizi e la Magliana che si mangia la capitale di uno Stato infetto da raccontare in film e serie tv (eccellenti). Il romanzo del criminale Vallanzasca è solo roba sua. Michele Placido, (troppo?) devoto fin dal sottotitolo, accelera un coraggio malavitoso che diventerà omicida, l\’accento milanese dei tempi della nebbia (ciumbia), la Comasina che sconfina nelle bische, il fascino sbruffone, le evasioni, un codice d\’onore che decapita i traditori, ma incassa muto i pugni degli \’sbirri\’. Il bel Renè rubava già da piccolo per gusto e non per bisogno, da grande giocò tragicamente a guardie e ladri, e rispose a chi gli chiedeva se fosse una vittima della società. E\’ stato un assassino rubacollane, ma non di quelli che poi se la tirano da terroristi a Parigi o in Brasile. Ciò fa di lui un eroe? No, fa di lui carne da cinema, luogo che incuba sogni in cui Al Capone attira da sempre più di Madre Teresa. All\’onorevole padano che incita al boicottaggio, Placido risponde saggio: . Kim Rossi Stuart azzanna la somiglianza con sublime smorfia di tigre: lama a lama con Filippo Timi sono ruggiti da urlo.

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MEGAMIND 3D

L\’hanno sparato sulla Terra da piccolo, come il suo supernemico bello e ben adottato che teme (forse) un solo materiale. Ma Lex Luthor non c\’entra, anche se Superman c\’entra fin troppo: ispirazione, svolgimento e skyline cittadino (vedi anche: “Spider Man”). Si tratta invece di Megamind: cresciuto suo malgrado nei peggio bassifondi, corpo da folletto kattivello, testone azzurrognolo da marziano anni 50, simpatico amico robot/acquatico, frustrazione nei confronti del rivale Metro Man: un similBorriello (tendenza Elvis). Ma quando questi sparisce, il superkattivello sente la mancanza di un superbuono che gli faccia il controcanto. Poiché è un supermalvagio naif, sbaglia scelta e crea un mostro nerd. Così gli tocca cedere al lato limpido della Forza e diventare lui il superpaladino del bene, complice l\’amore per una reporter contesa. La fantascienza DramWorks insiste sul \’ciclopico\’ gusto grafico di “Mostri contro alieni” (bruttarello assai) che le discese ardite e le pronte risalite in 3D fanno rimbalzare nella metropoli distrutta a mo\’ di King Kongodzilla, mentre il regista dei due “Madagascar” soffia convinto su superimprese mediodivertenti. Megamind proclama che e ne fa una da star. Ma si rimbalza in un fantamondo già supervisto e stravisto.

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QUALUNQUEMENTE

Cari (e)lettori e orizzontalmente amiche (e)lettrici, Cetto La Qualunque è un ometto basso e non troppo largo che promette il ponte sullo Stretto (). Però ha tanti capelli, infattamente è il fondatore del Partito du Pilu. Tornato da una latitanza, scopre che il suo feudo calabrese è in preda a : vincoli ambientali e fisco selvaggio minacciano le sue costruzioni che hanno scacciato spiagge e rovine (etrusche!). E\’ quasimente bigamo, ha un figlio \’polpo\’ che troteggia e si sollazza con belle fanciulle che lo aiutano nelle decisioni importanti. Però ha tanti capelli ecc. (Ac)cetto La Qualunque esige pacchiana eleganza sudista: opuscolo alla mano e preservativo in tasca. Il futuro è inCetto e le tasse sono come la droga: se ne paghi una, poi non smetti più. Usa incauti detti barzellettari: . Però ha tanti capelli ecc. L\’ottimo Antonio Albanese inventò il personaggio tanti/tanti anni fa, come ci ha ricordato l\’apprensivo Tg1 fin dai dai titoli. Ma il suo lungo sketch (ben musicato) paga pegno a due onnipotenti rivali. Il primo è San Zalone degli Incassi. L\’altro – la realtà che supera la parodia e la riduce a copia – mi sa che avete benissimamente capito chi è.

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SKYLINE

Gli alieni si piazzano sopra Los Angeles in stile “Independence Day” ma più trash. Gocciolano lampi blu, abbagliano gli umani per risucchiarli e mangiar loro il cervello. Ma quale? Se da qualche parte esiste una forma di vita extraterrestre anche solo minimamente evoluta, saprebbe di dover cercare altrove qualche grappolo di intelligenza, e comunque non nei nostri film di fantascienza. O forse è proprio il vano tentativo di papparsi un ghiotto cervello (ri)pieno che qui – come sempre – li spinge alla caccia chirurgica e spietata (ma impariamo che può servire nascondersi goffamente dietro un mobile, se il cane non rovina l\’astuto piano). Un gruppo di imbecilli variamente modaioli festeggia un compleanno all\’ultimo piano di un lussuoso palazzo: dialoghi e panorama fantascientifici in senso diverso. Il binocolo puntato sul sesso nelle finestre altrui, si teme sia una citazione da De Palma (“Omicidio a luci rosse”). Di certo abbondano godzillate (quello vecchio) in zona “Cloverfield” con echi di guerre di ben altri mondi e un finalaccio scippato a Sigourney Weaver. Non mancano: il belloccio in canotta la cui pelle si sgretola assecondando i tatuaggi e l\’elogio della famiglia in incubazione. Effetti speciali da Sbirulino, ma i personaggi dicono di aver fatto fortuna con quelli. Autoironia?

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RAPUNZEL

La fanciulla dalla lunga chioma magica vive nella torre isolata con un camaleonte per amico. Sogna di conoscere il regno di stelle e luci a cui l\’ha sottratta, da neonata, la vecchia sempreverde che si finge sua madre e le fa quotidiana visita spiegandole quanto sia infido il mondo. Passa di lì un ladro bellimbusto, che ruba diademi in acrobatico stile Mission Impossible, e la bella con padella lo tramortisce, lo lega alla sedia con la treccia, lo ricatta affinché la guidi alla scoperta di ciò che sta fuori e si lancia dalla finestra coi capelli a mo\’ di liana di Lara Croft. Il resto è convinto romanticismo fiabesco in 3D che muta le tinte retrò in \’effetto Barbie\’: volti bamboleggianti, musi troppo gommosi. Ritmo basso con simpatiche accelerazioni e una benedetta domanda: ma quanti secoli sono che lorsignori Disney non azzeccano una canzone da cartoon? Da Phil Collins Tarzan? La Rapunzel dei Grimm ritrova nel deserto l\’amato principe, cieco perché caduto nei rovi. Altri tempi, in cui si credeva che un po\’ di sano pessimismo fosse educativo. Qui l\’amore è cieco in altro senso e il lieto fine galoppa su un buffo cavallo/militare. Magica sorpresa: quando le tagliano la treccia, la bionda fanciulla si trasforma in una sosia di Mara Carfagna, protagonista di un\’altra bella favola.

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L’ULTIMO DEI MOHICANI

Canada, metà del 700. Durante la guerra franco/britannica un mohicano e i suoi due figli– uno naturale e un bianco adottivo, unici sopravvissuti allo sterminio della loro gente – salvano la vita alle figlie di un comandante inglese, tradite da un nativo della tribù nemica degli Uroni. Il traditore sarà braccato e ucciso, ma anche i buoni subiranno perdite dolorose. Dal celebre libro di James Fenimore Cooper, Michael Mann trae un’avventura d’Autore: toni da melodramma western, ritmo incalzante, poetica fotografia (by Dante Spinotti) che incornicia grandi spazi e scenari naturali in scia alle stampe d’epoca. Daniel Day-Lewis giganteggia e caprioleggia: punta di diamante del connubio Natura/Sentimento.

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KILL ME PLEASE

Un castello nella foresta belga è in realtà una clinica dove si pratica il suicidio assistito di strambi pazienti che hanno deciso di farla finita: un comico incurabile (ma dipende dal senso), un losco commesso viaggiatore, un giocatore d\’azzardo che ha perso tutto (moglie compresa), un bizzarro cabarettista tedesco che ha perso la voce. La località è quasi segreta, ma lo Stato sovvenziona la terapia fatale, dunque il primario Dottor Krüger deve tentare di dissuadere gli impazienti di morire e concede loro un goloso ultimo desiderio. Trapassi a volontà, ma non proprio secondo volontà. Infatti il film è piaciuto ai cattolici e non è un elogio dell\’eutanasia, neppure in senso grottesco. Casomai un morso a chi crede tutto sia in vendita, morte compresa: il regista Olias Barco cita Marco Ferreri. Da “Il settimo sigillo” a “Frankenstein Junior”, il bianco/nero fa splendere i toni macabri, ma qui è stato scelto perché non potevano permettersi il colore e molti ci sono cascati. Tanti gridano al capolavoro, Roma l\’ha premiato, qualcuno sostiene di essere morto dal ridere. Boh. E\’ un\’opera aggraziata che mette casomai un velo di tristezza. Come il suo regista quando dice: . Mario Monicelli non la pensava così. Sia benedetto.

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LA VERSIONE DI BARNEY

Sull\’orlo dell\’Alzheimer, un ebreo canadese (federalista anti-secessionista) fuma, beve e ricorda: decenni di sigari, whisky e irriverenza che piace definire \’politicamente scorretta\’, ma è un percorso esistenziale . Una moglie suicida, incinta (non di lui); una moglie ricca, tradita il giorno del matrimonio; un\’adorata terza moglie che non ha saputo meritare. Un amico che forse ha ucciso dopo una lite sul lago. Uno sboccato padre poliziotto (Dustin Hoffman), morto felice al bordello. La compiaciuta avversione di Barney per ogni sfumatura di stabilità, trova in Paul Giamatti un interprete eccellente, ma privo del fascino carnale – grandi appetiti conditi da ottime letture – del meraviglioso \’mostro\’ del libro. E la sua vita vissuta al vetriolo, spesso galleggia in una regia consolatoria con sussulti pacchiani (i viaggi a Roma, Parigi in origine). Si è scelto di non fare ombra al personaggio di Mordecai Richler, deceduto prima di poter sceneggiare una creatura troppo esplicita per i Coen e troppo seriosa per Woody Allen. I fan del libro (ottimo) sottolineano ogni battuta con risa e gridolini degni della Monaca di Monza a un film di Rocco Siffedi mentre sullo schermo si susseguono fogliate da sitcom d\’autore. Barney Jefferson?

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IL RESPONSABILE DELLE illuminate RISORSE UMANE

Commedia umana
Nella rassegnata quotidianità esplosiva di Tel Aviv, una giovane rumena è tra le vittime di un attentato, ma nessuno se ne accorge. Nessuno la cerca, nemmeno colleghi e datori di lavoro. Finché un molesto giornalista insistente mette sotto accusa il panificio dove era impiegata e, in particolare, colui che ricopre il ruolo del titolo. L’uomo ha già altri problemi: la separazione (fisica) dalla moglie e quella (mentale) dalla figlia. E’ deciso a chiudere la faccenda tra l’obitorio e la stanza dove abitava la ragazza. Invece lo incaricano di riportarne la salma in patria, da una madre che possa identificarla. Lui subisce, poi si incuriosisce, infine si mette on the road per un viaggio dai tratti malinconici e surreali che gli dirà qualcosa di più sulla vittima e molto di più su se stesso. Da Israele alla Romania, il film si trasforma in un’incursione con musica e tempi tzigani, popolata da personaggi strambi in arrivo dalla ribellione o dal consolato. Ma la disillusione e l’annientamento di destini migrati con ostinata speranza è presenza costante. Il film che Eran Riklis trae dal romanzo di Abraham Yeousha trasuda dignità, sincerità, stile. Una conferma dopo “La sposa siriana” e “Il giardino di limoni”, dove ogni cosa era illuminata dai silenzi. Qui dai dialoghi.

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