Un castello nella foresta belga è in realtà una clinica dove si pratica il suicidio assistito di strambi pazienti che hanno deciso di farla finita: un comico incurabile (ma dipende dal senso), un losco commesso viaggiatore, un giocatore d\’azzardo che ha perso tutto (moglie compresa), un bizzarro cabarettista tedesco che ha perso la voce. La località è quasi segreta, ma lo Stato sovvenziona la terapia fatale, dunque il primario Dottor Krüger deve tentare di dissuadere gli impazienti di morire e concede loro un goloso ultimo desiderio. Trapassi a volontà, ma non proprio secondo volontà. Infatti il film è piaciuto ai cattolici e non è un elogio dell\’eutanasia, neppure in senso grottesco. Casomai un morso a chi crede tutto sia in vendita, morte compresa: il regista Olias Barco cita Marco Ferreri. Da “Il settimo sigillo” a “Frankenstein Junior”, il bianco/nero fa splendere i toni macabri, ma qui è stato scelto perché non potevano permettersi il colore e molti ci sono cascati. Tanti gridano al capolavoro, Roma l\’ha premiato, qualcuno sostiene di essere morto dal ridere. Boh. E\’ un\’opera aggraziata che mette casomai un velo di tristezza. Come il suo regista quando dice:
KILL ME PLEASE

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