Real Stories
Writing interesting stuff for creative people.
Ogni stroncatura non è che un atto di amore tradito
Post Image
OFFSIDE

Gli iraniani amano il calcio. Anche le iraniane amano il calcio. Ma allo stadio non possono andare. Alcune di loro si vestono da uomo per intrufolarsi a una partita della nazionale di Teheran. Scoperte, ricattate, zittite con urlacci che schiacciano la logica delle loro ragioni, sono rinchiuse in un recinto da carcerieri che fanno il tifo con la stessa foga per eroi sportivi di oggi e per antiche abitudini non codificate dalla legge islamica. E’ la scottante metafora di un Paese ingessato fuori ed esuberante dentro. A causa di questo e di altri capolavori (“Oro rosso” su tutti), Jafar Panahi è stato dichiarato , vive agli arresti domiciliari e per 20 anni non potrà girare film. “Offside” è del 2006 e senza la condanna inflitta al regista e alla vasta eco sdegnata suscitata, da noi non sarebbe probabilmente neppure stato distribuito. Vederlo è il nostro modo di dimostrargli solidarietà.

Leggi Ancora
Post Image
THOR

Il collerico figlio di Odino sta per succedergli sul trono di Asgard, ma gli intrighi del fratellastro lo fanno esiliare sulla Terra, dove impara la temperanza e conosce l\’amore. Questa la mitologia Marvel (1962), che ritocca quella vichinga in cui Thor regna sugli uomini e il babbo sugli dèi. La prima magia dello shakespeariano Kenneth Branagh sta nell\’aver shakerato Iago, Re Lear, follia, ironia e \’domande giuste\’ in un fantasmagorico fantamondo retrò senza sconfinare nell\’universo kitsch. La seconda è stata scegliere una faccia non famosa col fisico giusto, come era Schwarzy ai tempi di Conan. L\’australiano Chris Hemsworth, che ama il surf, la boxe e “La storia infinita”, si è letto l\’Enrico V e Siddharta per calarsi nel percorso muscolar/spirituale. Astuti piani inclinati danno il giusto spessore epico al cinefumetto, elevandolo con teatrale potenza ogni volta che volteggia nei cieli nobili (memorabili le spedizioni tra i ghiacci di Jotunheim), e limando le stonature \’terrestri\’ quando protagonisti ed eventi precipitano nel desertico New Mexico (ma continuare saranno martelli amari). L\’astrofisica Natalie Portman si gode magia di oggi e scienza di domani, Anthony Hopkins perpetua la sua maschera di ieri. I fan Capitan America restino dopo i titoli di coda.

Leggi Ancora
Post Image
WORLD INVASION

Le evoluzioni estive dei surfisti di Santa Monica sono disturbate da meteoriti a grappoli che si rivelano congegni da sbarco con cui i soliti alieni kattivi attaccano la Terra per sterminarci e succhiare acqua preziosa. Se a qualcuno la metafora sfugge, un dialogo provvede a informarci dello smacco agli yankee colonizzatori, avidi di altrui petrolio. Ma il cine-rimorso è solo un pretesto per bombardarci con uno stravisto film bollito che schiera l\’intero armamentario retorico di guerra. Un sergente maggiore coi sensi di colpa e all\’ultimo giorno di servizio, un giovane tenente incompetente, la truppa pronta alla morte dopo l\’estremo gesto eroico (può mancare il nero che deve sposarsi? E il verginello bianchiccio? E Aaron Eckhart col mento wasp e lo sguardo triste?). Countdown a ripetizione, ripetizioni nelle irruzioni, irruzione nella fantabanalità. Bambini immortali e immortali motti urlati: nessun luogo comune bellico sarà lasciato indietro. Alieni immortali finché fa comodo: per mezz\’ora si spera in una brutta copia di “Black Hawk Down” coi Visitors al posto dei somali e Michelle Rodriguez post-Avatar. Poi compaiono i droni, il manipolo di fortunelli scopre che pure loro hanno un cuore, e salva il mondo facendo battute sulle . Qui idem, ma senza stile.

Leggi Ancora
AMORE & ALTRI RIMEDI

Poiché la famiglia vuole che abbia a che fare con la medicina, il pimpante playboy Jake Gyllenhaal si mette controvoglia a fare il rappresentante di pillole della felicità in provincia. Lo stesso talento per rimorchiare che gli ha fatto perdere il posto tra gli elettrodomestici (corna nel retrobottega), lo aiuta a corrompere infermiere arcigne per accedere a camici corruttibili. Predica lo Zoloft, combatte il Prozac, trionferà col Viagra (siamo nel 1996) fino a potersi permettere la Porsche Turbo in cui comprimere il flaccido fratello nerd pornografo (parte comica) e con cui girare per cliniche con la reticente fidanzata col Parkinson (parte drammatica: ). La trama miscela simpatia, sentimento, sesso, tremiti e romanticume con tono non patetico, ma sbandando tra gli ingredienti. Le scene migliori sono a letto (super-erezione a parte), sarà perché la copula è un toccasana e l’amore un virus (la morale è di chi scrive, non del film); sarà perché Gyllenhaal non si risparmia in canotta e senza mutande. Anne Hathaway, già sua moglie in Brokeback Mountain, ha nelle espressioni troppi occhi, troppi zigomi e troppe mappe da scuola di recitazione. Come ammalata innamorata convince (è facile), con lo spinello in canna no (è difficilissimo).

Leggi Ancora
AMICI, AMANTI E…

Lui è un bello&tenero che può avere chi gli pare, lei una sexy dottoressa con poco tempo per il sesso (che le piace molto) e nessuna propensione per l’amore (che la spaventa molto). Si conobbero da bambocci, si incontrano di nuovo in età da attrazioni fatali. Lui le porta in ospedale i palloncini e ogni minimo malanno, poi cd e cioccolatini a casa. Lei si spaventa a San Valentino. Propone: solo sesso accanito. Funziona. Pure troppo. Propone il sesso separato. Funziona come deve (non) funzionare: i miss you, mi manchi, i love you. Tutto già visto, tutto prevedibile, tutto moccioso con la pretesa di diventare consiglio adulto. Ma l’eterno adolescente Ashton Kutcher è sempre perfetto in ruolo cuccioloso, Natalie Portman è una strepitosa attrice senza età e la regia è affidata a quella volpe da commedia di Ivan Reitman: un signore dalla faccia lugubre che ha dettato i tempi comici a John Belushi, Dan Aykroyd, Bill Murray, Schwarzy, Robin Williams, Danny DeVito, Sigourney Weaver, Uma Thurman… E’ il babbo dei Blues Brothers, dei Ghostbusters e dei Gemelli. Gradevole linguaggio sporcaccione, ritmo dolciastro e un simpatico Kevin Kline nel ruolo del babbo famoso che ruba al figlio al pollastra e tenta di risarcirlo riciclando sogni di gloria.

Leggi Ancora
Post Image
SILVIO FOREVER

Prima di Berlusconi, “Forza Italia!” era un documentario del 1977 sulla Dc: 30 anni di ipocrisie e incongruenze del Potere, montate in modo che stridessero. Lo sceneggiarono: Antonio Padellaro (oggi direttore de “Il Fatto”) e Carlo Rossella (oggi passato a fatti più chic). La regia era di Roberto Faenza, che nel 2011 ci riprova: 80 minuti in cui parla solo Lui, il berlusca, e sempre di sé. Brevi incursioni nemiche di Grillo, Luttazzi, Travaglio, Montanelli, Benigni, Eco, Bono, Camilleri, Fo, Cornacchione e Paolo Rossi. A favore: don Verzé e mamma Rosa che assicura che mai si vedranno foto del figlio con donne sbagliate. Re Silvio promuove se stesso in patria e all\’estero: dal bravo ragazzo anticomunista che vendeva i compiti (sufficienti o rimborsati) allo chansonnier melanconico; da Milano 2 alla tv, dal mausoleo in giardino alla promessa di sconfiggere il cancro, dalla discesa in campo al voltafaccia di Bossi, dalla Merkel lasciata in attesa alle corna di gruppo (inteso come scherzo davanti all\’obiettivo). La voce di Neri Marcorè interviene solo se il materiale è deteriorato, ma ad essere deteriorata è l\’operazione in sé: alla vana ricerca di un inedito anno zero. Non osa come Guzzanti (figlia) e non attinge abbastanza dallo strepitoso libro di Guzzanti (padre) vs Berlusconi.

Leggi Ancora
Post Image
IL PATTO DEI LUPI

Illuminismo francese e arti marziali di Hong-Kong. Uno scienziato, un mohicano tatuato e una prostituta sulle tracce del mostro che semina terrore. L’idea di umanizzare la bestia coniugata al mito del buon selvaggio. Ma non c’è mostro peggiore dell’uomo fanatico. Monica Sexy Bellucci come icona per risvegliare istinti animaleschi. Segreti, azione, fantasia, Vincent Cassel e un pizzico di western. Un gran pasticcio umido-nebbiso? Ma no: 140 minuti di fumettaccio abile nell’azzannare generi e atmosfere.

Leggi Ancora
Post Image
LA CALIFFA

Alberto Bevilacqua debuttò nella regia portando sullo schermo un proprio romanzo, testo che oggi appare troppo figlio delle tensioni sociali e delle provocazioni letterarie/proletarie anni 70. La spregiudicata vedova di un operaio ucciso durante un corteo fa perdere la testa al padrone della fabbrica che sprofonda nella passione e nei sensi di colpa. Lui si converte alla gestione peggio che collettiva, i colleghi industriali – indignati e preoccupati – decidono di ricorrere alle maniere drastiche. Restano nella memoria gli spiazzamenti amorosi di Ugo Tognazzi e la violenta figura (in senso buono, anzi accecante) di Romy Schneider: prima dolente e poi passionale con fascino moschicida.

Leggi Ancora
Post Image
SCREAM 4

A Woondsboro, dopo 15 anni e due seguiti (meno che mediocri), tutto ricomincia come nel primo (più che discreto) “Scream”: Ghostface indossa l\’Urlo di Munch e trafigge col coltellaccio nuovi giovinastri e l\’antico cast superstite. Chi c\’è sotto la maschera? Wes Craven si diverte a seminare false piste palesi, osa il \’remake parallelo\’, cita saghe rivali (“Jigsaw”), onora “L\’alba dei morti dementi” e nobili precedenti (“L\’occhio che uccide, 1960). Azzecca lo strepitoso inizio che squarta sorprese, non il pessimo finale . Aggiorna lo splatter all\’epoca di YouTube e del protagonismo vittimista, per la gioia delle barbaradurso e dei prof/critici \’scultorei\’ che tanto riflettono sull\’Immagine Riflessa. Enuncia eterne regole horror, poi le sfonda – con porte e finestre – in furibonde irruzioni e inseguimenti, le tradisce in garage, le sfotte nel dialogo tra due poliziotti dal destino segnato. E\’ come nelle vorticose commedie con le stanze comunicanti e gli amanti nell\’armadio: un sanguinario vaudeville compiaciuto, una girandola kattivella che spesso si ferma per interrogarsi sui propri meccanismi (?) prima di ripartire a ghigliottina. Funziona? Solo quando (non) bluffa. Ma non è da questi urletti che si giudica il beffardo Wes Craven…

Leggi Ancora
Post Image
HABEMUS PAPAM

Morto un papa non se ne può fare un altro se l\’eletto è un uomo fragile che si sente inadeguato non solo al soglio di Pietro, ma al confronto con gli altri e con se stesso. Ovvero è un essere umano. Totalmente umano. Morto un Papa non se ne può fare un altro, neppure se ad assisterlo viene chiamato lo psicanalista ; perché siamo in un film di Nanni Moretti e Lui (Nanni, non il papa) emana dubbi da ogni ruolo in commedia e i ruoli sono tutti un po\’ suoi, e sia fatta la Sua volontà: piccole/grandi nevrosi condivise anche da chi sostiene di detestarlo, inquietudini puntigliose in cerca di un paradiso – possibilmente poco affollato – in cui perpetuarle all\’infinito.
Mentre il terapeuta rimane in Vaticano a insegnare con foga la pallavolo ai cardinali (la Chiesa non ha gradito), il paziente d\’alto rango viene trasferito alle cure della sua ex moglie. E sia reso merito al work in progress su se stessa dell\’ormai perfetta Margherita Buy: in cattedra dall\’altro lato del lettino, affibbiando ogni trauma adulto a , dopo aver scalato ogni gradino della cine-nevrosi.
Moretti ha già diretto un religioso in crisi (se stesso) in La messa è finita. E ha interpretato uno psicologo in La stanza del figlio. Ma queste affermazioni, sentite un po\’ ovunque da quando la trama di Habemus Papam è stata rivelata, sono banalità incomplete: Moretti ha sempre indossato la psicologia e la veste da buon samaritano frustrato. Sempre, da quando fa cinema.
All\’inizio ha praticato una strepitosa autocoscienza egocentrica che pretendeva – in senso buono, anzi divertente – di essere politica: flagellarsi di parole per non doversi confessare incapace di agire. In Sogni d\’oro, Freud è persino protagonista di una parodia della propria vita. Il padre che perde il primogenito in un incidente subacqueo e non riesce a impedire che il dolore travasi in famiglia e con i pazienti, giunge tre anni dopo la galoppata notturna di Aprile in cui Moretti celebra la nascita del figlio Pietro (Prodi era solo un pretesto). Come non cogliervi un timore rivolto al futuro, la sorpresa di una nuova ossessione in colui che in Bianca era incapace di relazionarsi persino con le piante, ma già dichiarava: ?
E non è forse la parte \’sociale\’ de Il caimano (quella non da tinello) uno slancio di psico/indignazione capace di mettere il naso curioso non solo negli affari, ma in pensieri, parole, opere e omissioni del Cavaliere? Anche al netto delle profezie – non impossibili, ma descritte con un\’esattezza che raggela – sull\’odierno assedio a un tribunale.
Dopo aver tanto scandagliato se stesso, tormentato gli amici, sbertucciato i critici, inseguito Jennifer Beals, seppellito il Pci (La cosa), infranta e poi resuscitata la famiglia, setacciata Roma, affogato lo sport (Palombella rossa) scampata la malattia (Caro Diario), esorcizzati il lutto e Berlusconi, a Moretti non restava che psicanalizzare la divinità. Non è credente, ma gli sono simpatici i preti. Ecco dunque un papa quasi laico. Alzando lo sguardo, Nanni e i suoi co-sceneggiatori (Francesco Piccolo e Federica Pontremoli) hanno di certo colto la serena non-necessità di alzare anche il tiro: si trattava di plasmare ancora una volta una depressione intelligente, un libero turbamento. Spiazzanti, ma non radicali. Fragili nella delicata sostanza, ma solidi nella forma: quella affidata allo splendido 85enne Michel Piccoli che ha negli occhi, nel passo e nelle rughe, la musicalità del mimo: madre pianista (francese), padre violinista (italiano), 225 film girati, giusta reincarnazione di Tati al prossimo festival di Cannes, dove Habemus Papam sarà in concorso.
E\’ un film che non si pone il sacro problema a monte: se un dio sia in ascolto, o in agguato. Perché ad affannare (molto) e a consolare (poco) il nostro percorso, sono le quotidianità e le idiosincrasie. E lo Spirito Santo, forse è solo una mano amica che muove le tende per simulare la presenza di qualcuno che non c\’è, come qui fa una Guardia Svizzera per ingannare i cardinali mentre il papa in fuga incontra la vita per le vie di Roma.
Dal funerale iniziale, che è quello di Giovanni Paolo II, approdiamo a una rappresentazione de Il gabbiano di Cechov che chiude – anche fisicamente – il protagonista in una gabbia che potrà spezzare solo compiendo il gran rifiuto che Dante attribuisce a Celestino V. Per viltade? Per evitare la vertigine di affacciarsi da quel balcone benedetto che viene inquadrato con maledetta angoscia e significa il tuffo negli altri che nessun personaggio morettiano vuole o è in grado di fare.
Habemus Papam finisce con la presa di coscienza di un fallimento, come era quello di don Giulio in La messa è finita. Se questo sia un messaggio di impotenza, o un\’autocoscienza matura e finalmente benefica, è il mistero di una fede non svelata che rimane – quanto mai prima in Moretti – affidato alla percezione di spettatori che è lecito temere più curiosi che numerosi. Perché le consuete gag esistenziali questa volta si perdono nella foschia emotiva, o sono affidate a caratteri macchietta come gli sciocchi cronisti televisivi. Rimarranno delusi coloro che speravano che il sempre meno autarchico Nanni facesse il diavolo a quattro in Vaticano. Quelli che, dalla poltrona del cinema, gli urleranno invano: .
(da DOMENICA de IL SOLE 24 ORE del 17 aprile)

Leggi Ancora
25
373