A Woondsboro, dopo 15 anni e due seguiti (meno che mediocri), tutto ricomincia come nel primo (più che discreto) “Scream”: Ghostface indossa l\’Urlo di Munch e trafigge col coltellaccio nuovi giovinastri e l\’antico cast superstite. Chi c\’è sotto la maschera? Wes Craven si diverte a seminare false piste palesi, osa il \’remake parallelo\’, cita saghe rivali (“Jigsaw”), onora “L\’alba dei morti dementi” e nobili precedenti (“L\’occhio che uccide, 1960). Azzecca lo strepitoso inizio che squarta sorprese, non il pessimo finale . Aggiorna lo splatter all\’epoca di YouTube e del protagonismo vittimista, per la gioia delle barbaradurso e dei prof/critici \’scultorei\’ che tanto riflettono sull\’Immagine Riflessa. Enuncia eterne regole horror, poi le sfonda – con porte e finestre – in furibonde irruzioni e inseguimenti, le tradisce in garage, le sfotte nel dialogo tra due poliziotti dal destino segnato. E\’ come nelle vorticose commedie con le stanze comunicanti e gli amanti nell\’armadio: un sanguinario vaudeville compiaciuto, una girandola kattivella che spesso si ferma per interrogarsi sui propri meccanismi (?) prima di ripartire a ghigliottina. Funziona? Solo quando (non) bluffa. Ma non è da questi urletti che si giudica il beffardo Wes Craven…
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