In attesa di un incontro che avrà un impatto negativo sulla sua sessualità indecisa, un pasticcere siciliano trova a Roma una casa troppo bella a un prezzo troppo favorevole. Com\’è noto, a Ferzan Ozpetek piace narrare di famiglie allargate, meglio se terrazzate. Questa volta tocca a un groppo di fantasmi, d\’impeccabile sartoria teatrale anni 30, fare gruppo e amicizia col nuovo inquilino: loro soffrono d\’inesplosa vitalità e lui pure. Ai vezzi tipici del suo cinema (i dolci, la musica, il percorso formativo inseparabile dalla memoria), Ozpetek aggiunge un protagonista sempre in scena: l\’eccellente Elio Germano, chiamato a un\’ulteriore evocazione oltre a quelle presenti nella trama: essere per il regista ciò che Mastroianni fu per Fellini: l\’abito su cui cucire un film, l\’alter ego complice immaginario. La prima prova ha (quasi) la taglia giusta in partenza, poi svapora man mano che spettri e carinerie prendono \’graziosa\’ concretezza. Sarte di contorno: Margherita Buy, Vittoria Puccini e una diabolica Anna Proclemer. Gran direzioni di attori, ma il turco in Italia così sceneggiando a zucchero filato (vedi anche il precedente “Mine vaganti”) si avvia ad essere un autore minore.