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Ogni stroncatura non è che un atto di amore tradito
MATERNITY BLUES – IL BENE DAL MALE

Titolo dolente, film anche. Con tutta la drammaticità, sincera eppure teatralmente forzata, del cinema italiano che si applica a una causa. Che qui è quella delle madri infanticide che espiano la condanna in un ospedale psichiatrico giudiziario. Il dramma e il rimorso sono soprattutto interiori, come traspare dagli spasmi ribelli e dalle pupille inabissate di Andrea Osvart, alle prese con un paradossale tormento in più: il perdono del marito che ha tentato di rifarsi una vita. L\’ambientazione chiusa tra pareti vere e simboliche, impedisce il paragone con “Ti amerò per sempre”, dove una struggente Kristin Scott Thomas affrontava una problematica libertà dopo un terribile gesto analogo. Ma lo sguardo è intenso, introspettivo, soggiogato.

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POLLO ALLE PRUGNE

A Teheran, nel 1958, il virtuoso del violino Mathieu Amalric è distrutto dalla perdita dello strumento che la moglie Maria de Medeiros ha fatto a pezzi. Vaga per l\’Iran e in se stesso alla ricerca delle corde giuste che lo restituiscano alla sua vena di musicista. Incapace di essere altro, si lascia morire dopo aver narrato la propria storia in bilico tra favola esistenziale, humour e sogno felliniano, citato con l\’esibizione di immensi seni-rifugio. Dopo “Persepolis”, Marjane Satrapi adatta per il cinema un\’altra sua graphic novel (edita da Sperling e Kupfer) che cela dietro vitali maschere malinconiche gli originali tratti del fumetto. Senza rinunciare a sferzanti attacchi politici.

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BEL AMI

Mordaci conferme tradive: che buon ottimo attore sa essere Robert Pattinson non appena smette le diafane smorfie di vampiRomeo da saga adolescente per addentare ruoli più seri. Dopo “Remember Me” e (in parte) “Come acqua per gli elefanti”, eccolo di nuovo a suo agio nei panni – via via più eleganti – dell\’arrampicatore sociale sciupafemmine ideato da Guy de Maupassant alla fine dell\’800. Poiché < le persone più importanti a Parigi non sono gli uomini, ma le loro mogli>, l\’ex soldato bellimbusto passa da un letto all\’altro infrangendo amicizie maschili e sentimenti femminili. Gli si offrono e soffrono con diversa sensualità, ma identica bravura: Uma Thurman, Kristin Scott Thomas e Christina Ricci.

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UNA SPIA NON BASTA

Due agenti da Mission Impossible sono sballottati tra Hong Kong e Los Angeles in improbabili sparatorie da un regista col nome da hamburger: il belloccio post-adolescenziale Chris Pine e Paul Hardy, fascinoso erede di Paul Newman. Una venditrice/collaudatrice di elettrodomestici, frustrata in amore, diviene l\’obiettivo di entrambi. Corteggiamento serrato che sfrutta i mezzi dell\’Fbi: frecce narcotiche; microspie; figli, nonne e cani usati come esca; quadri di Klimt come sfondo romantico. Ruolo ideale per gli sguardi fragili di Reese Whiterspoon, costretti a una scelta. Come dice l\’amica/consigliera (sboccata) Til Schweiger: . Ma l\’idiozia sovrasta ogni gag.

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IL PRIMO UOMO

Con impeccabile stile anti-drammatico, Gianni Amelio porta sul grande schermo il romanzo incompiuto di Albert Camus (la cui opera è invece un costante magma drammatico), quello ritrovato nell\’auto dello scrittore dopo lo schianto fatale che gli costò la vita, in Borgogna, nel1960. L\’infanzia del protagonista in Algeria, dolorosamente senza padre e con una dolce madre addolorata (Maya Sansa), è autobiografica sia per quanto riguarda Camus che Amelio. E\’ forse l\’ampia possibilità di identificazione a indurre uno dei nostri migliori registi a privilegiare la perfezione dello sguardo alla sua incisività introspettiva. Come se ci fosse una paura di scoprire e scoprirsi, sullo sfondo di questo film ricco di attimi densi di ellissi e di spessore.

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THE RUM DIARY

Paura, delirio (e disgusto) a Puerto Rico, nel 1960. Un reporter ai limiti della sopportazione alcolica, fonde idealismo e alterazioni sensoriali per trovare la sua vena letteraria, rifiutando la collusione coi palazzinari di Miami e incontrando una sirena ispiratrice (Amber Heard, folgorante). In un caotico mondo caraibico dove si cita Oscar Wilde – lo yankee Interpretato da Aaron Eckhart conosce il prezzo di tutto e il valore di nulla – si mescolano magia nera e combattimenti di galli, droghe e tartarughe ingioiellate, Modugno e il tramonto del sogno americano. Il giornalista beat Hunter S. Thompson trova in Johnny Depp l\’ideale burattino allucinato in cerca di redenzione in un film vintage che cela dietro ogni difetto una buona intenzione e dietro ogni paio di occhiali post-sbronza uno sguardo che ha disperatamente bisogno di iper-vedere per credere.

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TO ROME WITH LOVE

Sappiamo da troppi anni ormai che lo humour e i \’tormenti\’ di Woody Allen funzionano solo finché sbocciano tra i grattacieli della sua adorata Manhattan. L\’accanita e micidiale cine-tournée europea (altro che Oscar alla sceneggiatura che gridano vendetta) replica sfoggi geografico/culturali per a spiegare ai newyorkesi cosa sia stato costruito, scritto e dipinto nel Vecchio Continente. Per noi, è un bigino a cartoline. Dopo il Big Ben, Notting Hill e Shakespeare (capito che siamo a Londra?); la Sagrada Familia, le Ramblas e Gaudí (olè, Barcellona); la Senna, Degas, Modigliani e Cocteau (baci dalla Parigi che fu), ecco il Colosseo, Benigni, Scamarcio e Boccaccio. Più tutto quello che avete sempre sentito dire sul made in Italy e non avete mai osato chiedere smettessero. Girovagando tra Roma, volti noti, equivoci e sogni è quasi impossibile non incontrare Fellini. Eppure Allen non si tuffa mai nella fontana giusta.

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DIAZ

Come nel contemporaneo “Romanzo di una strage”, che riassume fatti della nostra nebulosa storia recente (pur con qualche libertà doppiogiochista in più), anche il film di Daniele Vicari ha il copione imposto dal deragliare di eventi il cui racconto non necessita di forzature per risultare efficace. Non a caso, i momenti migliori sono gli squarci di documentario che accecano lo sguardo dello spettatore di fronte alle torture al G8 di Genova, che Amnesty International ha definito: . La parola chiave è Paese. Perché si prova un senso di \’spaesamento\’, una confusione interiore mentre sbatti contro gli spigoli atroci di quella che credi sia casa tua e invece no, non può essere.

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ROMANZO DI UNA STRAGE

Pinelli, Calabresi e la Ghisolfa. Piazza Fontana, la tesi di una doppia bomba, i neofascisti e i servizi deviati. Moro e Saragat. Freda e Ventura. Marco Tullio Cicerone (da docufiction) Giordana. Gli sceneggiatori \’del secolo\’ Rulli e Petraglia. Detto che il cast eccelle, su opere come questa inutile proferire parola critica. Il merito è il contenuto, il demerito inesistente. Il valore è nella memoria, il punto di vista scelto non può essere oggetto di analisi. Quindi parlo un attimo dell\’intellettuale adriano sofri (su di lui il mio punto di vista è minuscolo) che, nel libro-web “43 anni” confuta il film e il libro da cui è (parzialmente) tratto, sulla base di ricordi personali e carte giudiziarie. Ora, altre carte giudiziarie dicono – e ribadiscono, e ribadiscono ancora – che sofri fu il mandante dell\’omicidio del commissario Calabresi. Il che rende nullo l\’uso che egli fa di ogni altro documento e di se stesso in veste di storico. Certe cose solo in Italia. Certa gente sul piedistallo invece che nascosta in convento (Carmelo dixit), solo in Italia.

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MARIGOLD HOTEL

Un gruppo di anziani inglesi decide di trascorrere gli ultimi anni in una casa di riposo in India, pubblicizzata come magnifica su Internet da un giovane di buona volontà (il simpatico Dev Patel, già protagonista di “The Millionaire”). In realtà è un albergo dignitoso e nulla più, con molto da riparare e moltissimo da spolverare. Gli ospiti provano disagio: qualcuno si sente , qualcuno è rassegnato, qualcuno si immagina in un campo da golf con gli elefanti, qualcuno è incuriosito da luce, sorrisi e colori tanto estranei eppure così vitali. Tra molte puntuali trappole retoriche, il regista di “Shakespeare in Love” guida un memorabile cast britannico doc: Judi Dench, Maggie Smith, Bill Nighy, Tom Wilkinson.

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