Titolo dolente, film anche. Con tutta la drammaticità, sincera eppure teatralmente forzata, del cinema italiano che si applica a una causa. Che qui è quella delle madri infanticide che espiano la condanna in un ospedale psichiatrico giudiziario. Il dramma e il rimorso sono soprattutto interiori, come traspare dagli spasmi ribelli e dalle pupille inabissate di Andrea Osvart, alle prese con un paradossale tormento in più: il perdono del marito che ha tentato di rifarsi una vita. L\’ambientazione chiusa tra pareti vere e simboliche, impedisce il paragone con “Ti amerò per sempre”, dove una struggente Kristin Scott Thomas affrontava una problematica libertà dopo un terribile gesto analogo. Ma lo sguardo è intenso, introspettivo, soggiogato.
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