Real Stories
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Ogni stroncatura non è che un atto di amore tradito
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ZITTI E MOSCA!

Ai tempi del Pci propriamente detto, in un paesino presso Firenze, ai margini di una Festa dell’Unità, giovani e vecchi adepti della falce e martello discutono, si sfottono e si scornano mentre il Partito/Mamma, caduto il muro di Berlino, è sul punto di cambiare pelle, nome e ragione di essere. Massimo Ghini ricorda tanto (ma tanto) Walter Veltroni, Athina Cenci è un (rosso) grillo parlante in gonnella, il regista Alessandro Benvenuti riserva per sé (Benigni docet) il ruolo dello scemo del villaggio al quale scappano dette le verità più sferzanti. Ci sono anche piccole tragedie personali, ma – come da copione tardosessantottesco – il privato non può non essere politico.

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IL CICLONE

Il primo film nostrano a sfondare il muro dei 60 miliardi incassati è un trionfo solare e scanzonato, con l’Italia contagiata dalla voglia di ballare sull’aia in compagnia di qualche bellona disposta a concedersi al campagnolo dal cuore fanciullo. La Toscana, teatro delle ‘zingarate’ degli Amici miei di Monicelli (qui presente come voce dell’invisibile nonno Gino), torna in auge al cinema grazie a un nuovo Leonardo – il Pieraccioni – all’epoca (1996) all’opera seconda dopo “I laureati”. Interpreta Levante, commercialista che ama la famiglia e gli amici: la sorella Barbara Enrichi, innamorata della farmacista del paese; il fratello Massimo Ceccherini, ossessionato dal troppo sesso che non fa; e il meccanico Paolo Hendel che ha il chiodo fisso della topa. La sua vita è sconvolta dall’arrivo della perturbazione del titolo: Lorena Forteza, Natalia Estrada e altre tre sensuali ballerine di una compagnia spagnola di flamenco, che hanno confuso il casolare del nostro eroe bucolico con l’agriturismo dove avrebbero dovuto soggiornare. Lui rimane colpito nel cuore e in testa. Si scatena una contagiosa ilarità.

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L\’EREDE

Sorvolando sullo sciagurato “Giallo”, filmaccio maledetto in cerca di fortuna estiva post-dvd (!) sbandando tra antichi sospiri horror e moderne tenebre sciatte… sorvolando dunque sul fu Argento vivo – un ex Maestro che oggi riesce a sprecare Adrien Brody ed Emmanuelle Seigner e da decenni non fa che copiare (quando va bene da se stesso) vagando come il fantasma della propria opera – ci si tuffa assetati di sere nere nel film d\’esordio di Michael Zampino, scritto con Ugo Chiti, al quale siamo debitori della sceneggiatura de “L\’imbalsamatore”. Il razionale topo di città Alessandro Roja, l\’ottimo Dandi del Romanzo Criminale televisivo, eredita una villa tra i boschi marchigiani dal padre che l\’aveva promessa all\’amante con figlio (fratello?) orso e figlia topa di campagna. Guia Jelo alza i toni da strega: lo blandisce, lo tormenta, lo colpevolizza, lo rende un coniglio sacrificabile su cui ricadono le colpe paterne. Sulla carta il thriller rurale funziona. Nelle immagini no. E\’ tutto progetto e niente eco, ennesima opera nostrana che crede di \’creare un\’atmosfera\’ seguendo il proprio viottolo ben pensato, ma incurante di incongruenze, luoghi comuni e accenti sbagliati (in ogni senso). Scena madre tra i falò, fuga nel temporale, una fidanzata in pensiero solo se fa comodo alla trama.

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SSOTTO TIRO

Intreccio insolitamente ben riuscito di amore, guerra e politica. Film schierato con mente&cuore dalla parte della rivoluzione sandinista che, alla fine degli anni 70, abbatté il dittatore Somoza in Nicaragua. Il giornalista Gene Hackman e il fotografo Nick Nolte sono colleghi rivali, ma amano la stessa donna: Johanna Cassidy. Quando il primo viene trucidato dai militari del regime (il fatto autentico che fa da spunto per la pellicola), il secondo mette da parte l’etica professionale per aiutare i ribelli con un falso fotografico che fa sembrare che il loro capo sia ancora in vita.

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ACQUA E SAPONE

La modella americana mozzafiato Natasha Hovey (ma la bellezza non le bastò per cine-sfondare) arriva a Roma sorvegliata a vista dalla madre Florinda Bolkan che le cerca un precettore. Trova un severo prelato adatto al ruolo, ma a questi si sostituisce un bidello colto ma disoccupato, molto (ma molto) ansioso di dare qualche lezione alla ragazza. Che capisce subito con chi ha a che fare (memorabile Verdone che cerca le parole giuste per parlarle di Dio), ma decide di stare al gioco. Finirà in gloria celeste (per un po’). Come ridevamo nel 1983: ingenuità furbetta e musi ultrasimpatici.

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LE IENE

Dopo un mediometraggio d’esordio, il primo ‘vero’ film di Quentin Tarantino, l’uomo che ha cambiato l’idea dei film d’azione violenta – e quella del Cinema stesso (Gran Rifrullatore, ormai sterile ma prolifico) all’inizio degli anni 90. Eventi incastonati a mosaico e non in successione (con largo uso di flashback), crudeltà esplicite nell’immagine quanto motivate nelle anime, grande efficacia teatrale nel gusto per dialoghi che divagano (qui le ‘tirate’ su Madonna, le mance e i colori come nomignoli), e nella scelta di perfette facce da cinema scorbutico, umorismo sferzante che fa a pugni con destini cupi. Qualcuno ha ‘cantato’ e la rapina a un grossista di gioielli è andata male. Dei sei componenti la banda, un paio sono morti, uno è ferito, un altro è uno psicopatico che ha preso in ostaggio un poliziotto e si appresta a torturarlo per conoscere il nome del traditore. In un capannone si attende l’arrivo del capo e si scatenano le vendette. Tensione a mille, rigore mirabile, autorevolezza e fantasia da cineasta consumato: Genius Quentin, capolavoro di compattezza. Compare in ruolo defilato. Sulla riblata: Tim Roth, Harvey Keitel, Steve Buscemi, Michael Madsen, Chris Penn, Lawrence Terney. Okkio agli indizi sui colori, alle sigarette non fumate, agli errori da basso budget, alle traiettorie dei proiettili, al palloncino che svolazza, a ciò che cade al (nel) volume dopo il finale.

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VENERE NERA

Storia vera, storia triste. Portata dal Sudafrica da un volgare sfruttatore, tenuta in gabbia o esibita in oscene danze tribali, vittima dei vizi altrui fino ad affogare nei propri, ecco The Elephant Woman, a Parigi, nel 1810: natiche immense a cui aderisce un abito che nulla cela del lato B e suscita malcelata curiosità per il resto. Sbavarono tutti: gli scienziati che la credevano una specie di orango, i salotti borghesi, gli allupati dei bordelli e quelli delle fiere con i \’mostri\’. Sbava anche lo spettatore? Il regista franco-tunisino de “La schivata” (capolavoro) e “Cous Cous” (quasi), circumnaviga per 150 minuti la sua straordinaria protagonista (cubana) con la macchina da presa, oggetto \’stupratore\’ per definizione ideologica. E\’ curioso? Morboso? Compiaciuto e dunque pornografo col pretesto di vedere quanto siamo voyeur e razzisti? Una furtiva lacrima si fa disperazione e rovina la \’carriera\’ della Venere ottentotta – alta in realtà 150 cm – il cui scheletro ha riposato in un museo (sigh) prima di essere restituito all\’Africa nel 2002. Kechiche è un regista di fede realista, non un regista in cattiva fede. Sa che può indirizzare il nostro sguardo e il nostro sdegno. E che si è complici dell\’orrore solo volontariamente. Oppure inconsciamente. E quindi volontariamente.

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AMICI MIEI – COME TUTTO EBBE INIZIO

Vacanze a Firenze, tra brutte facce da Natale in crociata medievale, al tempo di Lorenzo il Magnifico, Savonarola e – grazie al Cielo – non più di Monicelli. Panariello fa l\’oste svogliato, Michele Placido il politico assenteista, Massimo Ghini il fannullone con troppa prole, Paolo Hendel il medico col vizietto sodomita, Christian De Sica – incredibile a dirsi – il nobile cornuto e cornificatore. Gli antichi neri parenti di “Amici miei” sprecano ogni eco boccaccesca lanciando nani superdotati tra le suore come nei film per yankee brufolosi e si guardano bene dal pungere papati e potentati, al massimo tormentano il legnaiolo Ceccherini, l\’unico con la faccia e i tempi comici giusti. Qui non si tratta di voler fare gli integralisti della \’supercazzola prematurata\’, o i vedovi dell\’immortale gag del vedovo; qui il punto è che non si ride punto: ovvero mai, detto alla toscana. Un\’operuccia indegna come prequel, sciatta come commediola, volgare proprio perché incapace persino di inventarsela, una parolaccia. Noiosa senza ritegno, ma così boriosa da iniziare dichiarandosi un antidoto alla noia. Il (sigh) fiorentino Hendel ha osato dire: . Mai sentite tante bischerate in così poche parole.

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BENVENUTI A CEDAR RAPIDS

Sarà lui, Ed Helms, lo stralunato interprete del dentista in continuo sballo nelle \’notte da leoni\’ prematrimoniali, il nuovo volto (equino) della commedia volgarotta a stelle e strisce? Sì, a giudicare da questo film in cui è un impacciato assicuratore risucchiato dai lati oscura di una convention destinata a degenerare. Consuete gag su sesso spinto, equivoci omosex e frustrazioni demenziali, ma il cast di buon livello – John C. Reilly, Anne Heche e Sigourney Weaver in un piccolo ruolo – impedisce alla trama di soccombere. Il rischio, per Helms, è quello di rimanere prigioniero di un ruolo. Ma in certi casi è una scelta obbligata.

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