A San Francisco, dopo un esperimento andato scimmiescamente male, il ricercatore James Franco si ritrova in braccio un cucciolo di scimpanzé col dna alterato. Lo alleva trasformando il piano di sopra in una giungla dove ogni oggetto fa da altalena: la bestiola cresce buona, ma sogna la libertà oltre l\’abbaino. La storia si arrampica su un babbo malato di Alzheimer, un medicinale trafugato e collaudato impropriamente, una veterinaria sedotta e tanta splendida mobilità animalesca ottenuta in motion capture: le mosse dinoccolate e gli sguardi inclinati di Andy Serkis, \’interprete\’ di Gollum, catturati e impellicciati dal computer. Serkis, già \’anima\’ del King Kong di Peter Jackson, qui ha modo di vendicarlo quando il tono delle rivendicazioni dei primati prigionieri si alza travolgendo poliziotti, proiettili ed elicotteri sul Golden Gate. Un virus sterminatore dà all\’umanità la spallata decisiva, così che questa avventura ribelle, visivamente efficace ed eticamente gustosa, possa proporsi come il prequel del celebre film del 1968 (con plurimi seguiti) in cui Charlton Heston si trova di fronte alle rovine della Statua della Libertà su una Terra sottomessa alle scimmie. Ci si diverte. In campo di \’catastrofismo animale\’, una delle opere migliori dai tempi de “Lo squalo”.


Il folle chirurgo plastico Antonio Banderas (legnoso) sintetizza una pelle artificiale quasi inviolabile per cancellare la brutta morte della consorte e lo stupro della figlia suicida. Sequestra il presunto violentatore, gli cambia (ehm) sesso, lo trasforma in un clone della moglie e se ne innamora. Su eleganti sfondi manieristi si muove con balzi kitsch un fugace uomo vestito da tigre. In un tetro laboratorio noir si mescolano vetrini e vendetta. La fotogenica Elena Anaya, in aderente tuta color pelle e in posizione yoga, è un perfetto feticcio per Almodóvar in sostituzione di Penélope Cruz. Ma il film stesso è un feticcio inesploso: un taglia e cuci di madri segrete e fratellastri a sorpresa, di radicale inventiva e prevedibile stile, in cui il regista sembra ancora – dopo il tedioso “Gli abbracci spezzati” – voler rinchiudere il proprio cinema invece di liberarlo. Amore, anatomia e ginecologia in lotta tra maschile e femminile: poco amabili resti da thriller melodrammatico con citazioni anni Cinquanta. Si ride spesso, ma la sensazione è di sghignazzare sempre quando non si dovrebbe. Un Almodóvar lucente: più chirurgico che davvero morboso, superficiale col bisturi mentre si bea di troppa pelle. Un Almodóvar minore.

Sgargiantemente vestita di giallo-scuolabus, l\’insegnante svogliata Cameron Diaz lasca la cattedra su cui esibiva i tacchi per sposare un buon partito. Ma la futura suocera vigila e la rispedisce nelle odiate aule dove sputacchia i dolci offerti dagli alunni, proietta “Scream” e corregge solo gli abiti delle modelle sulle riviste. Sogna di rifarsi il seno e vincere i dollaroni assegnati al miglior prof della zona (facendo rosicare la collega/spia), quindi esibisce le grazie sexy all\’autolavaggio e tenta di dedicarsi ai bistrattati fanciulli che comunque la adorano. Ha un cuore esperto dietro quella bastarda maschera bionda: sa che – per un ragazzino – essere sensibile può costituire un handicap. Arriva un lindo professorino ricco e fresco di divorzio che legge “Mangia, prega, ama”, stona in balera e fa sesso vestito. Justin Timberlake (si) diverte autoironico, la bella Cameron (sua ex) dà il meglio di sé in uno strepitoso ruolo brillante. Come nell\’orrido “Le amiche della sposa” e in “Come ammazzare il capo e vivere felici”, la volgarità supera il livello di guardia: è la nuova tendenza della sboccata commedia yankee al femminile. Ma qui fa scintille, con una palla da basket come sudata freccia di Cupido.

Il problema non è il pilota lucciolone che un Alieno Saggio, in punto di morte alla deriva sulla Terra, ha nominato Lanterna con compiti di sovrumana difesa interstellare. Anzi, nonostante l\’inespressività belloccia del dissepolto Ryan Reynolds di “Buried”, il personaggio è quasi simpatico quando esterna autoironica sorpresa nel vedersi calato in vesti pisello da supereroe, va a titanico rapporto su lontani pianeti multiformi e torna a casa esausto dopo una giornata da Marine galattico. Il regista di Zorro Banderas e del miglior 007 da decenni (“Casino Royale”) se la cava sbarcando nell\’Era dei Cellulari il fumetto retrò della DC Comics. Eterno superbinario: supetragedia cosmica, supernemiko, superbia da sconfiggere, superlotta finale dopo superaddestramento alla “Full Metal Jacket” per sterminare col verde dell\’Energia il giallo della Paura. Il problema è che di cine-supereroi non ne possiamo più. Delle loro imprese tutte uguali e dei film tutti uguali – sebbene variamente (s)piacevoli – che ce le raccontano. Qui il bravo Peter Sarsgaard si trasforma in un rabbioso Elephant Man in odio a babbo Tim Robbins e la graziosa Blake Lively riconosce la mascherina al secondo appuntamento. Brutti sguardi dopo i titoli di coda. Visto anche questo. Ora basta. Per legge.

Un ventenne che non ha mai lasciato la sua isola, il nonno pescatore che crede nell\’ospitale legge del mare, un padre sparito tra le onde, la madre Donatella Finocchiaro che sogna una nuova vita altrove, amici strafottenti, una barca da pesca che sta per essere rottamata e viene usata per l\’ultima estate al servizio dei turisti. Linosa, come Lampedusa in “Respiro”, non è più (solo) uno scoglio ricco di grotte che non compare sul mappamondo. E\’ il punto di sbarco – spesso doloroso – degli emigranti clandestini. Il paese è diviso tra accoglienza e rifiuto; madre e figlio ospitano una donna nera incinta, la aiutano a partorire, subiscono il fascino avventuriero emanato da una maschera esotica (troppo) bella e simbolica. Stesso mare, altra scena: uomini alla deriva sembrano zombie mentre si aggrappano al peschereccio del giovane e ne vengono respinti con violenza. Ancora una volta Emanuele Crialese firma un\’opera marina, salata, ruvida con venature romantiche. Ma l\’impasto di lirismo e macchiettismo partorisce più panni stesi che densità di sguardo. Fuori dalla rotta capolavoro di “Nuovomondo”.

Al dodicesimo minuto del primo tempo di Notizie dagli scavi le lamentele di una prostituta prendono lo spettatore in contropiede:
Euro??
Il suono di una moneta troppo nuova rotola nella casa di appuntamenti romana che fino a quel momento avevamo ritenuto saldamente immersa negli anni Sessanta. Ma dove avremmo dovuto scorgere un segno moderno, una tinta reale, uno squillo contemporaneo, in quel piccolo mondo antico privo di cellulari, arredato come un\’alcova improvvisata e colorato declinando ogni ombra dell\’ocra nel corridoio e intorno al letto con la spalliera a ventaglio, e poi arieggiando ogni tempera del verde-acqua in una cucina che fa tanto Eduardo? La sorpresa si trasforma in senso di colpa, con i film d\’autore capita sempre. Mettiamo finalmente a fuoco quel frigorifero troppo blu, di certo recente: un pugno nello stomaco cromatico e temporale, proprio alle spalle della Gina che fuma accanita in vestaglia (Anna Paola Vellaccio, egregiamente lasciva).
Eppure no… la radiolina è vecchia. I soprammobili pure. E le tende sembrano disegnate. Però lui le apre, il flaccido factotum, forse autistico, che le signorine chiamano Professore, ma coprono di insulti e rimproveri:
Al dodicesimo minuto del primo tempo di Notizie dagli scavi le lamentele di una prostituta prendono lo spettatore in contropiede:
Euro??
Il suono di una moneta troppo nuova rotola nella casa di appuntamenti romana che fino a quel momento avevamo ritenuto saldamente immersa negli anni Sessanta. Ma dove avremmo dovuto scorgere un segno moderno, una tinta reale, uno squillo contemporaneo, in quel piccolo mondo antico privo di cellulari, arredato come un\’alcova improvvisata e colorato declinando ogni ombra dell\’ocra nel corridoio e intorno al letto con la spalliera a ventaglio, e poi arieggiando ogni tempera del verde-acqua in una cucina che fa tanto Eduardo? La sorpresa si trasforma in senso di colpa, con i film d\’autore capita sempre. Mettiamo finalmente a fuoco quel frigorifero troppo blu, di certo recente: un pugno nello stomaco cromatico e temporale, proprio alle spalle della Gina che fuma accanita in vestaglia (Anna Paola Vellaccio, egregiamente lasciva).
Eppure no… la radiolina è vecchia. I soprammobili pure. E le tende sembrano disegnate. Però lui le apre, il flaccido factotum, forse autistico, che le signorine chiamano Professore, ma coprono di insulti e rimproveri:

Protagonisti da tv a stelle strisce con comprimari strepitosi. Un aspirante manager è umiliato dal sadico Kevin Spacey che odia i sottoposti e le feste a sorpresa. Dopo la morte del paterno principale, un contabile deve subire gli (stra)vizi dell\’erede Colin Farrell, razzista col riporto. Un igienista dentale sogna la vita coniugale, ma viene ricattato (con orride foto fatte in stato di anestesia) dall\’allupata dentista Jennifer Aniston che si erge a reincarnazione di Edwige Fenech dottoressa del distretto militare: parrucca mora, camice bianco, acrobazie sulla poltrona dell\’ortodonzia, giochetti con la banana alla finestra indossando intimo di pizzo nero. Consigliati dal \’consulente in omicidi\’ Jamie Foxx (per trovare un killer, hanno impostato il navigatore su \’bar malfamati\’), i tre tentano di eliminare l\’uno il capo dell\’altro, come in un vecchio film di nonno Hitch. Conseguenze tragicomiche: chi cade in tentazione, chi salva la vita alla sua vittima, chi finisce in bocca alla polizia. Comicità esplicita, anzi sboccata: pioggia dorata, gag scorrette sui disabili, osceni 3×2 e un compagno di liceo disoccupato che si offre per una sveltina in bagno.