Senza farla troppo lunga, un \’onesto\’ James Bond che muore e resuscita, sbuffa e balza, birra e champagne, ma con un tasso di invulnerabilità simpaticamente più basso del solito e dotato (ovvero umanizzato) con la fragilità più accentuata di sempre. Avventure popolari di buon livello, sebbene non il miglior 007 recente, che resta “Casino Royale” e il perché è presto detto. Qui il regista inglese Sam Mendes di “American Beauty” porta in dote un nobile tocco sofisticato che fluidifica e abbellisce l\’insieme (pur gravato dai soliti 20 minuti di troppo, anzi mezz\’ora essendo tra tutti i Bond il più extralarge) e tenendo il (non più) supereroe ben stretto alla pioggia di Londra e delle Highlands, zavorrandolo con gusto vintage ai suoi feticistici accessori da marketing al tramonto. Ma accetta comunque di allungare il brodo di una saga spionistica morta e sepolta senza rifrullarne le ceneri con stile tarantinato, quello che sfida la morte di un genere perché sa che un genere è morto. Funziona Javier Bardem col capello pagliericcio (voluto da lui, ma già usato dai kattivi bondiani). Funziona la Bond Girl Bérénice Marlohe – saettante modella francese con nome da cometa. Funzionano il burocrate zelante Ralph Fiennes e le materne Judi Dench e Aston Martin di “Goldfinger”. Strafunzionano i titoli di testa. Quelli di coda non arriveranno mai, a dispetto di un immaginario in riserva da decenni.
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