Non (da me) recensibile perché nella vaselina di Paolo Virzì sono stufo di rimanere impiastricciato: un unguento di simpatia leggermente cogliona (ricordate la morale/autogol di “Ovosodo”? ) con cui il regista livornese alliscia i suoi tanto adorati personaggi, incapaci di vivere una realtà fasulla da qualche parte che non sia un suo film cinematograficamente fasullo. Non che le trame siano pessime, o la regia scarsa, o il cast sprecato. Va tutto bene, anzi benino. Va tutto avanti a copi di carezzevoli eventi e riprese che lasciano il tempo che non trovano (che perdono, direbbe con più cattiveria Carmelo Bene). Qui il bravo (potrebbe non esserlo?) portiere di notte Luca Marinelli incrocia puntualmente di buon ora la sua sbandata compagna e copula. Il figlio non arriva e la storia prenderebbe una brutta piega (bruttina va là) se non soccombesse a stereotipi di accattivante odiosità virziniana. Limiti di sceneggiatura a strapiombo tra canti sotto la doccia e fecondazione assistita identici in un pathos che crede di solleticare la malinconia e di evocare il grottesco. Ad Acilia, fuor di Toscana, la vita è ancora (la prima cosa) belle, i prati sono in fiore, i protagonisti insopportabilmente umani nel senso marziano che Virzì si ostina a dare al termine.
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