Nato e celebrato come genere implicitamente rivoluzionario, l\’horror oggi ha vita dura. Tutto il sangue è già stato sparso, ogni suspense è stata esaurita, l\’accettazione dei cliché si è ormai tramutata in irritata assuefazione ai cliché, e le rivoluzioni zombie sono zombie barcollanti per gli schermi. Impossibilitato per dna a partorire effettive novità, oggi l\’horror lo salvano solo la capacità di inserire pagliuzze di idee nuove nella mattanza collaudata e la capacità di essere autoironico. Qui gli addendi funzionano. Il solito gruppo di giovinastri, tra cui Chris Tom Hermworth, legge male i segnali di inizio gita (le asperità da totem del benzinaio sputacchiante) e si va a infilare nella trappola del titolo. Che c\’è sotto qualcosa, a parte la cantina malefica, lo sappiamo da subito. La (mala)sorte dei protagonisti è gustosamente telecomandata ultra-tecnologicamente (più debole è il motivo rituale di tutto ciò) da Richard Jenkins e compari che brindano a ogni corpo squartato dopo aver scommesso su quale dei mille mostri a disposizione (tritoni e Yeti compresi) sarà scelto (dai malcapitati) per compiere l\’opera. Gran splatter finale di gabbie aperte e morsi mannari. Finalaccio, ma fin lì si gode.
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