Tre padri separati, con alimenti a carico, convivono in un appartamento che traballa sopra la metropolitana e sotto i colpi dei loro fallimenti esistenziali. Ma i figli sapranno essere migliori di loro. E\’ il messaggio che esce dal nuovo film di Carlo Verdone, autore che in realtà nuovo non è mai. Osserva e immagazzina i tic del presente fondendoli in personaggi che sono gli italiani di sempre, nella realtà come al cinema: smorfie da commedia dell\’arte e gag da nostalgia canaglia. Si ride più che nelle ultime prove del Nostro, si ridacchia amaro, si sorride benevoli seguendo gli imbarazzi di un produttore discografico caduto in disgrazia e votatosi al vinile (Verdone), di un ex critico che ha perso il posto perché amante della moglie del caporedattore (Favino) e di un agente immobiliare che arrotonda facendo il gigolò (Giallini). Memorabile strip autoironico della dottoressa Micaela Ramazzotti sulle note dei Doors. Ma è il classico film di cui si parla tanto dappertutto, poi lo vedi e te le dimentichi in una settimana.
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