dice il ragazzino biondo alla parrucchiera che ha (troppo) di colpo deciso di prendersi cura di lui nei fine settimana. Intende a occhi chiusi. Con sguardo ostinato e pedali sempre all\’attacco, cerca il padre che l\’ha lasciato in un istituto cambiando casa e numero di cellulare. Ma lui non vede il rifiuto: si divincola, bussa a vetri, scala muri reali e metaforici. Quando ritrova l\’ancor più biondo Jérémie Renier, già genitore non all\’altezza che in “L\’Enfant” vendeva il suo neonato, ne imita i gesti in una magistrale scena di apprendistato frustrato: una cucina, un mestolo, un estraneo che può offrirgli solo una patatina alla paprika. Il bimbo non capisce, incassa. Sbanda tra amicizie sbagliate, come Pinocchio. Mente alla sua Fata Turchina e fa di un\’altra cucina il teatro di una ribellione quasi horror. Semina gli zecchini nel campo sbagliato, poi esce con le ossa ammaccate – e dunque da ometto – da un losco bosco invitante. Non c\’era mai stata così tanta luce in un film dei fratelli Dardenne, fabbricanti di capolavori. Né sprazzi di musica. Né mazzate e sassate sempre (troppo) a segno. Né una protagonista famosa (Cécile de France, scelta e poi neutralizzata in un ruolo irrisolto). Né corse formative tra i cespugli cosi lontane dal crudo sentiero di “Rosetta”.
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