Negli anni 60, una giovane piromane è ricoverata in un ospedale psichiatrico dell’Oregon: stile Overlook Hotel (“Shining”), ma anche vecchio manicomio del Massachusetts (“Session 9”, recuperatelo!). Insomma, un classico del thriller/horror. Come le tubature in affanno, i corridoi ghiotti come gole nerastre, i nomi scritti sulla lavagna sinistra, le grate che aspirano buio, la quiete angosciata dopo la tempesta di pioggia, gli occhiacci da cartoon indossati da personaggi impostati come manichini, il lugubre montacarichi… Tutte ‘cose’ che smontano la pazienza se non le sai inquadrare con nobile mano antica (o non le rifrulli alla Tarantino). Il 63enne John Carpenter appartiene alla prima categoria: ha saputo agitare mirabili nebbie, fughe da New York, notti di Halloween e brigate della morte. (Ci) mancava dal 2001, dal genialoide “Fantasmi su Marte” (recuperatelo!). Qui fa arte dark in ogni inquadratura, ci pilota lo sguardo, gioca con le nostre percezioni. Poco importa che il finale sia prevedibile e già visto (da poco). E che Amber Heard resista troppo bella nella lotta con(tro) gli incubi, tra compagne di ricovero troppo caratterizzate (libidine confinata in doccia). Anzi, proprio l’abusata apparizione/spauracchio, suscita ancora un sobbalzo. Essi vivono. Carpenter regna.
No Comments