Un pilota di elicotteri, abbattuto in Afghanistan, si risveglia su un treno in arrivo a Chicago. Che esplode. Nuovo risveglio, incastrato in una strana capsula mentre – dall\’altra parte di un vetro – gli vengono dati ordini che non comprende. Deve tornare sul treno, localizzare la bomba che lo distruggerà e scoprire chi l\’ha innescata. Ogni volta ha otto minuti a disposizione. Com\’è possibile? E servirà a qualcosa? La fantascienza può ancora essere avvincente, quando considera il caotico fattore umano come il più necessario tra gli effetti speciali e si affida alle sue radici di seconda generazione: l\’indagine dello Spazio anni 70, che mandò in pensione i baccelloni della Guerra Fredda e le metaforiche guerre dei mondi (oggetto oggi di micidiali remake). Duncan Jones, rampollo/regista fatto cadere sulla Terra da David Bowie, salta sul convoglio di un film non suo e lo rende simile allo splendido e desolato “Moon” (recuperatelo!). Esporta nel cinema yankee un ammirevole tocco d\’Autore, frutto di fantaricordi british che stazionano tra Shado, Base Luna e Kubrick: memoria e carte da gioco vorticano nei salti temporali come in “Agente speciale” con John Steed e la signora Peel (il telefilm, non l\’orrido “The Avangers”). Jake Gyllenhaal gestisce bene l\’effetto \’ricomincio da capo\’, una doppia indagine, amare sorprese, universi paralleli e sacrifici concentrici.
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