Masse incolonnate nei titoli di testa, maratone affollate, pazza folla. Poi, il solitario Aron Ralston se ne va felice nel Blue John Canyon (Utah), dove preferisce mountain bike e arrampicate alla compagnia di fanciulle smarrite. Nessuno sa dov\’era diretto: mentre mammà chiamava lui era in doccia. Dopo 15 minuti di euforia ad alto volume, resta intrappolato in un crepaccio: il braccio incastrato sotto un macigno. Cala il silenzio, ma dura poco. Danny Boyle (“Trainspotting”, “28 ore”, “The Millionaire”) lancia la sfida al \’one man desert show\’ con le armi del suo cinema ridondante: schermo moltiplicato, incubi, cascate, tanta musica, uno Scooby Doo gonfiabile, falsi movimenti, false soggettive, veri ricordi falsati da sete, disperazione e videocamera. Salvato da un feroce miracolo, pentito di non essere stato più socievole con l\’umanità, il malcapitato è pronto per farsi una famiglia. Una morale più opprimente del masso di cui sopra, anni luce lontana dagli stenti anti-spettacolari di “Into the Wild”. La storia è vera (2003) e James Franco, troppo bello per essere moribondo, trova in sé le corde della giusta arsura. Molto bravo quando simula una delirante intervista tv con se stesso spacciato. Micidiale, non per colpa sua, quando corre verso la bibita sponsor come un coyote prezzolato.
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