Periferia di Londra, una coppia sui 50 invecchia coltivando il proprio collaudato affetto in cucina, in giardino, in un orto urbano. Non sono belli, nssuno qui lo è, nemmeno l\’orto. Tom è geologo, Gerri psicologa. Lui \’scava\’ buche, lei cervelli. Ma il loro cartone è animato dalla serenità: un\’oasi assalita da zombie vittime del virus della solitudine. Una collega, molesta oltre i limiti dell\’imbarazzo, ha bisogno di esistere almeno nei racconti altrui e corteggia prima il figlio e poi il cognato dell\’amica. Un old friend odia i giovani perché non lo è più. Il fratello vedovo è un totem levigato da chissà quale nulla. Il nipote è solo rabbia che sa di rimorso. Tutti bevono in modo smodato: chi per dimenticare, chi per ricordare, chi per sopravvivere. Quattro fine settimana in quattro stagioni: dense pause rivelatrici di segreti e bugie, dialoghi british a caccia di un raggio di solidarietà. Come nel teatro dell\’assurdo, il ridicolo nasce dalla disperazione. Mike Leigh tesse cinema spoglio, ricchissimo di umanità. Nulla è più difficile da recitare di una sbornia: qui un intero cast deglutisce eccellenza. Imelda Staunton (fu Vera Drake) subisce lo stetoscopio e l\’analista che frugano nell\’ostinato pudore della sua rassegnazione. Si fondono tristezza, speranza e abitudine. Capolavoro.
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