Non è un capolavoro. Tocca alla losca cometa di queste righe sporcare di realtà il primo cine-presepe del 2011, celebrato in soave coro belante dagli adoratori-a-prescindere del buon pastore Eastwood. Che oggi è un Autore, un Classico, anzi un meraviglioso autore neo/post classico che ha firmato film magistrali: “Mystic River”, “Million Dollar Baby”, “Gran Torino”, “Changeling”, “Lettere da Iwo Jima” (su tutti). Ma “Hereafter” non è un capolavoro. Come non lo era “Invictus”, nobile pellicola pedante, osannata ieri da chi oggi la rinnega. Old Clint non invecchia, regna sull\’immagine. C\’è più suggestione nei suoi effetti speciali quasi elementari (lo tsunami) che in ore e ore di coglionate catastrofiste. C\’è più miracolo nei raggi di luce con cui accarezza miseri arredi (la casa dei gemelli con madre tossica) che in tutta la fuffa tv natalizia. Ma “Hereafter” non è un capolavoro, e Matt Damon è solo l\’ennesimo sensitivo che vive il suo dono come una maledizione. E\’ una buona opera, un\’opera buona che Eastwood tenta invano di fare sua – scrive Peter Morgan di “The Queen” e “Frost/Nixon”, produce Spielberg – smussando con abile tocco il soprannaturale e assecondando incroci che evocano fiaba (Dickens) e realtà (gli attentati a Londra) con grandi speranze di commozione terrena nel centro del mirino. Tutto è lieve, dosato, antico, foscoliano. Anche la retorica.
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