Come fu che, alla fine del 2003, uno sfigato (nerd), un perdente (loser), uno studente ebreo bruttino che non sbavava per le confraternite snob, forzò il database di Harvard e creò Facebook, un socio/giocattolo da 25 bilioni dollari che ha fatto di lui il più giovane miliardario moderno. Mark Zuckerberg lo fece per il motivo più vecchio del mondo: trovare donne, vendicandosi di quella che l’aveva mollato. E per lotta di classe, quando dovette difendersi legalmente da chi sosteneva che la sua creatura non fosse solo sua. Tradì davvero l’amico/socio (ricco) e la fiducia dei fratelli vogatori olimpionici (straricchi), come racconta il libro di Ben Mezrich da cui il film è tratto? David Fincher sposa la tesi fotografando, in suggestivo color Hogwarts, un social fight club in cui fanno scintille gli acuti dialoghi serrati di chi scrisse “Codice d’onore” e “West Wing” (Oscar sacrosanto). Simile fin dal cognome, il bravo (non da oggi) Jesse Eisenberg è un maghetto in ciabatte nelle intemperie del clima, degli algoritmi e degli ormoni: stizza cinica, superba per orgoglio e/o frustrazione. Justin Timberlake indossa i vizi e l’anarchia di Sean Parker, fondatore di Napster. La singolare vicenda di una gallina ‘maltrattata’ è l’emblema della comica tragicità di etichette (tag) a cui è impossibile sfuggire.
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