Storia quasi vera (moto quasi) che spara a vuoto sul pubblico, come fu per il realismo tarocco dei due “Nemico pubblico”. Un boss della mala marsigliese è crivellato in un garage: 22 colpi (più uno per il cane), ma la sua ora non è fuggita e lui non muore disperato, come canta fino allo sfinimento pacchiano la Tosca in sottofondo. Medita tremenda vendetta ai danni dell’ex amico divenuto rivale ed elimina i killer a uno a uno, nonostante prevedibili tradimenti e prevedibili guai in famiglia e con la polizia: chi vuole comunque fare giustizia e chi: <…se i criminali si ammazzano tra loro, meglio>. Confezione ocra/chic con squarci splatter di esecuzioni cruente. Madama Butterfly incornicia attimi di dolente speranza: acuto lirismo buono anche nello stile per far volare bossoli e motociclette, abusare (nell’uso) di marmocchi in pericolo e/o in vana attesa, impacchettare droga con troppo pistacchio, rovinare a pallettoni compleanni, funerali, matrimoni e corsie d’ospedale, così da fare eco spocchiosa a “Il padrino”, “Borsalino” e Scorsese a scelta. Ma è solo il meglio (bombarolo) di Luc Besson immerso nel suo peggio: laccata tragedia che sembra parodia noir (o viceversa) e flashback da spot Barilla. Ma i bravi ragazzi hanno facce giuste, Jean Reno anche quando gliela sforacchiano.
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