Gruppo di famiglia in un interno infestato. Lui, lei, la figlia adolescente di lui, il loro bimbo, una domestica messicana molto devota e presto in fuga (incenso e crocefisso non funzionano) e un cane lupo a caccia di (id)entità. Non è il seguito del film/evento della scorsa stagione – girato con poco e sopravvalutato tantissimo – ma il suo prequel: la zia in frequente visita è infatti la protagonista del film precedente, ovvero degli eventi successivi. Siamo nell’agosto 2006 e la struttura è identica: budget all’osso e formula ripetitiva, facile da spacciare per rigorosa: tutto è visto attraverso le telecamere installate per controllare ossessivamente la nuova abitazione e una scritta ci avverte che il materiale è stato concesso dalla polizia a tragedia avvenuta. Per arrivarci anche stavolta occorre sorbirsi quasi un’ora di normal noiosity lungo l’asse: piscina/salotto/cucina/scala/cameretta. Così quando il colpo fracassone arriva davvero, dopo molti colpetti a vuoto, lo spettatore salta sulla sedia solo se non vi si era addormentato. A Lamberto Bava, in “Ghost Son”, basta inquadrare lo strumento con cui si controlla a distanza il sonno dei neonati per crearci inquietudine. Qui il nuovo paranormal regista evoca solo gridolini con vago senso di sbadigliante minaccia.
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