E\’ una Storia Infinita, sempre quella. In un mondo fantasy, in un tempo fantasy, un fanciullo reincarnato, individuato come si fa coi Dalai Lama, è l’elemento di equilibrio tra gli Spiriti e le quattro nazioni umane: Acqua, Terra, Fuoco, Aria. Rimasto ibernato per un secolo (che per lui è volato), non ha ancora completato l’addestramento per domare il poker di elementi: si scioglie nel Regno dell’Acqua, dovrà combattere quello del Fuoco padroneggiando l’Aria. Si chiama Aang, è un Avatar e viene da una serie animata. Che aveva bisogno di un Cameron, o di uno Spielberg. Invece se n’è impossessato, pare su consiglio della figlioletta, M. Night Shyamalan, regista col denso pallino dei sesti sensi e di quelli naturali, ma ormai garanzia solo di mire sbagliate. Dopo “Unbreakable” (buono) e“The Village” (mediocre), queste righe persero la fede in lui quando lo spretato Mel Gibson ritrova quella in Dio in “Signs”: sciocco abuso di marziani e cerchi nel grano a scopo micro-teologico. I pochi che hanno visto “Lady in the Water” e “E venne il giorno” sapranno quanto male gli riesca fare poesia o paura flirtando con la Natura. Qui, tra lemuri pipistrelli e ghiacciate battaglie ancestrali, per domare l’elemento Cinema servivano sguardo personale e ironia. Shyamalan usa mitici luoghi comuni e il 3D.
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