Due corpi abbracciati nella camera da letto semivuota di un signorile appartamento parigino. Si amano e si bucano l’un l’altra. L’impazienza della droga surclassa quella del sesso. La quiete dell’oblio sembra estasi fraterna. Solo la donna si risveglierà. Dal coma e incinta. Solo François Ozon, regista incostante ma dotato di tocco d’Autore che sa rendere nobile la cartapesta dei sogni, della maternità e del dolore (“Sotto la sabbia”, “Angel”, “Il tempo che resta”), poteva riuscire a trasformare una scena tanto drammatica in un quadro rinascimentale. Solo lui, gay e parigino, poteva riuscire a rendere accattivante lo stereotipo del gay parigino in trasferta sull’oceano (il fratellino del morto) che vince la diffidenza della sopravvissuta e la riporta alla vita, al dialogo, alla musica, alla nostalgia, a letto. Isabelle Carré, realmente in avanzata gravidanza, è splendida in primo piano e negli specchi: doppie inquadrature come cornici dell’animo. Louis-Ronan Choisy è un azzeccato efebo in via di maturazione. Lei evita il sole e le chiese, a lui piacciono. Lei non sa se saprà essere madre, lui non è stato un vero fratello. Molto cast e qualche acuto da dimenticare, ma tanta natura e tanta naturalezza tra i protagonisti. Poi, un finale sensatamente umano.
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