Un regista poverocristo che non gira un film da cinque anni e viene trascurato da Repubblica (frecciatona) è costretto dal sindaco Stefania Sandrelli e dal feroce assessore Marco Messeri a dirigere una rappresentazione del Venerdì Santo in un borgo del senese. Scarso di liquidi, ha lasciato marcire i tubi di casa facendo gocciolare il costato del Signore in un affresco adiacente. La Passione di Gesù e quella di Silvio Orlando vanno di pari passo malfermo. L’Uomo non trova interpreti adeguati: Corrado Guzzanti – bravo ma sprecato – si sente tradito dalla frutta di gommapiuma . L’ometto (ateo) è in crisi di ispirazione e bersagliato dalla sfiga. In un film di Carlo Mazzacurati, solo mezzi miracoli: il sorriso della barista Kasia Smutniak, la toccante descrizione del perdente che non sa come dire che non è obbligatorio avere qualcosa da dire e l’ottimo Giuseppe Battiston che ha imparato a memoria il Vangelo in prigione e finisce sulla via crucis come un nipote di Pasolini. Ma la commedia amara si snoda prevedibile e la farsa stenta a decollare cedendo alla macchietta (l’insopportabile affittacamere). Il cuore in croce di Mazzacurati è nello sfogo contro la teleregina Capotondi da Rivombrosa e in quel Gesù improvvisato e deriso: grasso, ma ci mette il sangue.
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