Bruno Todeschini, bravo attore nostrano adorato dai francesi, è uno svizzero trapiantato a Torino che apprende di non poter procreare. Resterà sempre e solo un figlio, il figlio di un egocentrico padre artista dal quale è fuggito. Ha un debito con un losco banchiere e un’adorata moglie che non vuole turbare con le verità: la sempre splendida Irène Jacob, oggi perfetta sosia di Fanny Ardant, che si offre a noi subito di profilo, come nel manifesto di “Film Rosso”. L’usuraio sparisce, suo figlio Elio Germano (sovraesposto in trucco, ruolo e nudità) assilla il protagonista, corpi ed eventi precipitano in clichè surreali e smarrimenti spossanti in musica stridente. Si dimentichi l’intenso “La spettatrice”, in cui Barbara Bobulova guardava passare la vita con i falsi movimenti dell’anoressica sentimentale a causa di troppo abortita fame d’amore. Qui, immerso in un universo maschile fatto di personaggi che non acquistano verità di persona, confondendo i chiaroscuri psichici coi cambi di colore dei mobili in scena, Paolo Franchi smarrisce le diagonali, il tono, se stesso (vedi i rabbiosi sfoghi in conferenza stampa veneziana). Qualcosa di travolgente, disperato, eppure fasullo, trabocca dal suo film. Uno dei peggiori italiani del decennio.
No Comments