Dopo che la mafia le ha ammazzato padre e fratello, suoi adorati ‘uomini d’onore’, una 17enne si presenta dal giudice coi diari in cui da sempre annota tutti i crimini di Cosa Nostra nella sua terra. Non è una paladina della giustizia – è cresciuta sputando sugli sbirri e non smette – vuole solo usare lo Stato per vendicarsi. Trasferita a Roma con una nuova identità, isolata, maledetta dalla madre, deve prima uccidere la mafia dentro di sé per risultare credibile al processo. Conoscendo i codici, fa una memorabile passerella in tribunale guardando fisso negli occhi chi le sibila odio da dietro le sbarre. E’ l’attimo più riuscito del film di Marco Amenta, già autore di un documentario su Provenzano prima della cattura. La biografia tragica funziona e coinvolge quando naviga lontano dalla guitta malafiction nostrana, ovvero quando non spinge gli elicotteri sotto il Colosseo o fa innamorare al primo sguardo Primo Reggiani di una mora sovrappeso sotto il Teatro di Marcello (il che nulla toglie alla più che maiuscola prova di Veronica D’Agostino). Rita Atria si suicidò una settimana dopo l’attentato a Paolo Borsellino, resa orfana per la seconda volta. Il film è ispirato e dedicato a lei. E’ possibile dedicarle anche una recensione?
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