Il 23 gennaio 2002, l’americano di origine ebrea Daniel Pearl, corrispondente del “Wall Street Journal (curriculum letale in Pakistan), fu rapito a Karachi da un gruppo di integralisti islamici che lo decapitarono dopo poche settimane e un orrido filmato in cui veniva costretto ad auto-denunciarsi. La moglie Mariane, all’epoca incinta, ha scritto un libro sul proprio tormento e fortemente voluto questo film, presentato a Cannes coi produttori: Brad Pitt e Angelina Jolie. Che la interpreta sullo schermo. La stessa supersxy Jolie che serpenteggia seducente in “Beowulf”, è capace di amputarsi, di asciugarsi, di rintanarsi nella disperazione dignitosa, nei riccioli neri a spasso ma composti, nel profilo e negli ambiti compunti di una donna alla quale non assomiglia per nulla (Mariane è afro-cubana), ma a cui sa dedicarsi con credibile sforzo. Nel suo primo film oltreoceano, il regista inglese ‘impegnato’ Michael Winterbottom, già capace di morsi feroci alla politica yankee in Medio Oriente e a Guantanamo, si dimostra cronista rigoroso di false piste e vane speranze inseguite con riprese febbrili. L’assenza di dramma gratuito ha decretato il flop americano. E’ invece il pregio di un’opera ostica, condannata a rimanere avvitata: doloroso thriller dalla fine già nota.
No Comments