Neanche il tempo di dichiarare, a proposito di “Iago”, che Laura Chiatti è la prova che un qualche dio esiste, ed ecco che Egli ce la ripropone così come l’ha creata: senza niente addosso se non gli occhi ultragelosi di Claudio Santamaria, musicista italiano dedito a sonorità eccentriche in quel di Praga. Patologicamente insicuro e possessivo, si rivolge a un’agenzia di spioni diretta da un seduttore/filosofo che lascia libera la moglie di rigenerarsi in accanite avventure e si erge a giudice dei traditi e loro eventuale benefattore. La sua morbosità e quella del nuovo cliente flirtano, fanno – letteralmente – a pugni, si rappacificano, discorrono di chimica del sentimento su sfondo di Kafka e Shakespeare. Quando Desdemona torna a Venezia, capita l’inevitabile fattaccio. Ma poi finisce come deve finire un film polveroso che si pretende (intellettualmente?) dinamico. Roberto Faenza – non è la prima volta – resta impantanato e compiaciuto tra i monumenti delle città d’arte, quelli del Sentimento Pensante e le citazioni di Dante e di Jim Morrison. Ne fanno le spese gli attori, spinti a preistoriche recitazioni elementari come nella goffa scena di sbronza. E gli spettatori, naturalmente. Sì, ma quali?
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