Sotto il grembiule, quasi niente: il corpo ancora vergine e già sfatto, lo sguardo umile/fisso e i devoti gesti rituali di una 41enne che ha trascorso 20 anni a servizio nella stessa casa borghese. Ha allevato i figli, le abitudini e i vizi della famiglia che ritiene propria e che ama, sicura di essere a sua volta amata perché indispensabile: moglie troppo svagata, marito troppo golfista, quattro ragazzi da accudire come pupazzi. Titolo italiano sciocchino, ma film cileno drammatico. Asciutto sguardo che coglie il nervosismo immobile di situazioni domestiche: uno Chabrol latinoamericano. La protagonista odia le ‘rivali’ assunte per aiutarla, è gelosa di un gatto, disinfetta ogni corpo (umano) estraneo, vive della gioia di sentirsi chiamare con un soprannome affettuoso dal suo padroncino preferito. E’ un caso umano, è un simbolo sociale. Ma non farà la rivoluzione (in Chabrol si fa), ha solo bisogno di un modello che la restituisca allo shopping, ai compleanni, ai sorrisi, al parto di se stessa. Scena simbolo: una dolorosa telefonata alla madre in cui nulla si dice e molto si intuisce. La straordinaria Catalina Saavedra è il valore aggiunto di una morbosa metamorfosi credibile. Film denso che fa sorridere inquietando. Mix non facile, complimenti al giovane regista di Santiago.
No Comments