Per capire che finirà male, basta guardare i manifesti dei film che hanno fatto la soddisfazione e la fortuna del produttore che vediamo felice in famiglia e – sempre meno – sul lavoro. Titoli d’Autore appesi nel suo ufficio che si avvia al naufragio con la devota ciurma. Opere che riempiono più di gloria cinefila che di sicurezza economica chi investe in loro. Infatti l’ottimo protagonista di questa intensa tragedia umana indivisibile da quella professionale, ci lascia all’improvviso, dopo aver perso la patente per simbolica distrazione e dopo un viaggio tra simboliche rovine con l’adorata famiglia. E allora tocca a Chiara Caselli, vedova con lo sguardo mutilato e le scarpe basse come radici: punto di riferimento nella trama e attrice di storie necessarie (d’improvviso realizziamo quanto ci sia mancata). Tocca all’ostinazione di chi vuole che l’ultimo film vada in porto e a quella di chi scopre passati segreti di famiglia. Una regista che viene dalla critica e andrà molto lontano, si ispira alla vera vicenda di un produttore suicida e la trasforma in parabola/capolavoro sul mestiere del cinema e su quello di dover vivere tra luci spente che (forse) (non) si riaccenderanno. Sincero fatalismo francese mai saccente. Ovvio che da noi esca a fine stagione, tra i fondi di magazzino.
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