Bucarest, 1992, tre anni dopo la caduta del tetro ordine di Ceausescu. Marco Pontecorvo, figlio del regista de “La battaglia di Algeri”, già direttore della fotografia in film in cui il meglio è proprio la fotografia (“L’ultima legione”, “PerdutoAmor”), racconta la vera storia di Miloud, clown di strada franco-algerino che riscattò centinaia di ragazzini dai fumi delle fogne e della colla inalata per trasformarli in artisti on the road. Ha rischiato di sembrare un pedofilo mentre ne vinceva le diffidenze adolescenti affiancandoli in curiosità, ostinazioni e ribellioni. Come il film ha rischiato di sembrare un viaggio paternalista tra bozzetti retorici: uno sguardo pietista su scugnizzi perduti (detti boskettari). Ma Pontecorvo, senza credersi un nuovo Fellini poetico/ispirato tra i nasi rossi, ha saputo spremere sensibile cronaca che accalappia ma non ricatta. L’applauso più forte a Venezia 2008 (e si cerchi un tombino chi qui ha voluto vedere una rivalutazione della dittatura in chiave anticapitalista).
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